Siria, spari sulla folla che chiede «dignità »

La Siria attende che Bashar Al Assad mantenga le promesse di riforme e maggiore libertà  annunciate negli ultimi giorni.

La Siria attende che Bashar Al Assad mantenga le promesse di riforme e maggiore libertà  annunciate negli ultimi giorni.

Che il regime smetta di sparare su gente indifesa negando di farlo, come ancora una volta ieri è successo nel Sud. Il raìs, fa sapere il suo ufficio a Damasco, «è chiuso in riunioni dal mattino a notte inoltrata, discute cosa concedere ai manifestanti» . Lo staff non lo dice, ma questo pare confermare le voci che indicano come «molto incerto» il presidente che non si è ancora fatto vedere dall’inizio della rivolta due settimane fa, né sentire se non tramite la sua portavoce. Incerto, spiega un attivista, «tra cercare un compromesso con la gente, anche se difficilmente tornerà alle aperture della “primavera di Damasco”con cui iniziò a governare 11 anni fa, durata poi pochi mesi, o seguire l’esempio passato del padre Hafez e le attuali pressioni del fratello Maher e del cognato Assef, ovvero usare il pugno di ferro, reprimere senza pietà» . «Nei prossimi due giorni — ha dichiarato comunque il vice presidente Faruq Al Shara alla tv di Hezbollah Al Manar — Assad annuncerà importanti decisioni, qualcosa che ai nostri cittadini farà piacere» . E non solo a loro: «Nessuno ha interesse che la Siria s’incendi — sostiene Hilal Kashan, professore di scienze politiche all’Università americana di Beirut —. L’instabilità di Damasco potenzialmente può destabilizzare l’intera regione» . Non a caso, sempre secondo il suo ufficio, «il raìs ha ricevuto telefonate di sostegno dai leader di Bahrein, Kuwait, Qatar e Iraq» . Nell’attesa e nell’incertezza l’allarme resta altissimo. La capitale è presidiata da gruppi di agenti in borghese, rivela Al Jazeera, che nemmeno tentano di passare inosservati. Anzi, sono un deterrente per nuove manifestazioni anti Assad, mentre altre in suo sostegno sono attese, pare massicce, per oggi. Nella cittadina ribelle di Deraa al confine giordano, epicentro dell’intifada e la più colpita per le decine di vittime che ancora piange, le forze di sicurezza hanno sparato su 4 mila persone indifese che chiedevano «libertà e dignità» , la fine delle leggi speciali del 1963. «Le promesse fatte finora sono solo parole — è il messaggio dei manifestanti, ricalcando quanto detto alla Siria negli scorsi giorni da Washington e altre capitali occidentali —. E’ ora che arrivino i fatti» . Più a Nord, nella città-porto di Latakia dove lo scorso weekend si sono avuti durissimi attacchi di bande di baltajìa — sgherri in borghese al soldo di un cugino di Bashar, dicono gli attivisti — ieri il cima era spettrale, strade deserte, check point e ronde improvvisati dalla gente del posto per difendersi da nuovi assalti. 

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