Ritratti di borghesia in nero

L’abito scuro come simbolo di riserbo, igiene e buone maniere. Vederli tutti insieme, in un solo colpo d’occhio, i ribelli del à 48 sarebbero apparsi una macchia nera, come lo sono ancora oggi gli uomini vestiti per le occasioni formali, compreso il lavoro in ufficio. Nobili e borghesi, naturalmente, perché il popolo, invece, vestiva con più colori e meno regole.

L’abito scuro come simbolo di riserbo, igiene e buone maniere. Vederli tutti insieme, in un solo colpo d’occhio, i ribelli del à 48 sarebbero apparsi una macchia nera, come lo sono ancora oggi gli uomini vestiti per le occasioni formali, compreso il lavoro in ufficio. Nobili e borghesi, naturalmente, perché il popolo, invece, vestiva con più colori e meno regole.

Dopo essere stata indicata come lo stile più elegante nel Cinquecento, nel celebre «Libro del Cortegiano» di Baldassar Castiglione, la moda del nero era stata abbandonata e nel Settecento gli uomini finirono per fare a gara con le donne nell’esibizione di nastri di seta, fiocchi, vistosi fermagli, calze attillate, fasce che stringevano la vita, ampie spalline. Ogni tipo di colore era ammesso, purché sgargiante, dal rosa all’azzurro, al verdino e persino il rosso e il giallo. Era troppo: i francesi, arbitri elegantiae, avevano esagerato. Già a metà dell’Ottocento, anche per segnare il distacco dall’ancien régime, si era tornati alla sobrietà dello scuro, tranne nelle uniformi che mantenevano paradossalmente (ma i militari sono conservatori) i tratti di femminilità del secolo precedente. Proprio per ragioni politiche, i milanesi che si fanno ritrarre in uniforme austriaca sono molto rari. Piuttosto, come fa Ambrogio Uboldi, banchiere e collezionista di armi che aveva messo la sua armeria a disposizione degli insorti durante le Cinque Giornate, meglio posare per il ritratto dipinto da Giuseppe Sogni con l’uniforme dei Cavalieri del santo Sepolcro: pantaloni bianchi a vita alta, giacca bianca e spalline d’oro a frange. Con quell’abito religioso e nazionale, l’Uboldi fa sfoggio di un alto rango sociale ma senza schierarsi con l’occupante. La preferenza di tutti, però, andava per il ritratto con «l’uniforme borghese nera» come fa Luigi Azimonti, imprenditore amico di Gian Domenico Romagnosi, la cui tomba venne violata dalle autorità militari alla ricerca di eventuali armi dei patrioti. Stesso stile di sobrietà per il cavalier Andrea Maffei, poeta e autore di liriche patriottiche nonché del libretto dei Masnadieri di Verdi. Anche quest’ultimo, come Alessandro Manzoni, sceglie il nero per tutti i ritratti ufficiali: il borghese e l’artista vestono giacca nera, camicia bianca con colletto sollevato fino al mento da una cravatta nera a nastro allacciata «alla Byron» . Era, questa, un’uniforme che designava un nuovo civile bon ton borghese, basato sul riserbo, il rifiuto dell’ostentazione e su un’etica dell’apparire opposta allo sfarzo aristocratico. Casomai ostentava la pulizia e l’igiene (conquista moderna) di colletti sempre immacolati. Ad essa si conformò anche la classe nobiliare per non sembrare moralmente inferiore. La differenza sociale e di censo, stava casomai nella qualità del taglio sartorial e , cioè quella vestibilità perfetta, dettata dai sarti di Savile Row che si erano sostituiti ai couturier francesi. Alla moda femminile era lasciato più spazio ornamentale ma anche qui la scelta della «classe media» milanese è apparire senza stupire e le aristocratiche si adeguarono: nei loro ritratti gli abiti da sera sontuosi sono quasi assenti. Cristina di Belgiojoso sceglie la seta nera, cui però aggiunge un prezioso gioiello. Nero anche per Clara Maffei, il cui salotto era un centro di diffusione delle idee patriottiche che le costò la fuga a Locarno dopo il ritorno degli austriaci a Milano. Anche all’abito, dunque, venne assegnato il compito di costruire un nuovo sistema di rapporti sociali all’interno della «buona società» patriottica milanese basato sull’igiene, il riserbo e le buone maniere borghesi anziché sul fasto esteriore. Anche con questi codici si combatteva l’occupante.

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