"Ma al di là  dell'esito del processo, quello che ti porti dentro è tremendo" 
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“Fosse rimasto a casa sua non sarebbe morto”

I figli del commerciante: “Scritta una bella pagina di giustizia ma ora nostro padre non riprenderà  mai più un’arma in mano” . “Ma al di là  dell’esito del processo, quello che ti porti dentro è tremendo” 

I figli del commerciante: “Scritta una bella pagina di giustizia ma ora nostro padre non riprenderà  mai più un’arma in mano” . “Ma al di là  dell’esito del processo, quello che ti porti dentro è tremendo” 

MILANO – «Papà è tranquillo. Sollevato, soprattutto. Ma non parla della vicenda, non lo ha mai fatto finora e non ha commenti da fare». Antonio Petrali, capello lungo sulle spalle, scandisce lento e cortese. L´emozione dell´aula è passata, la vita può lentamente ricominciare col suo carico di ombre e soprattutto c´è da proteggere lui, papà Giovanni. Quel signore in maglietta e sandali che tornava a passi lenti verso il suo bar, lungo corso di Porta Vercellina, al tramonto di un giorno di maggio, quell´omino pelato con gli occhiali con pistola e scopa in mano che ripeteva meccanico, l´adrenalina che schizzava, «li ho presi qui, al petto, uno l´ho fatto secco, l´avevo detto che se tornavano lo facevo», oggi è più curvo, più affaticato sotto il carico di otto anni di ricordi e tormenti. Di una frase, «sono tranquillo perché sono innocente, avrei voluto vedere voi che parlate», ripetuta come un mantra dal 2003.
È lontano dall´aula, Giovanni Petrali. Qui, in tribunale, ci sono i suoi due scudi. Antonio, il più esposto, quello che ci ha messo sempre la faccia anche in politica, già candidato alle amministrative dalla Lega, che affronta i taccuini: «È la fine di un incubo – racconta – meglio di così non poteva andare. Meglio un brutto processo che un bel funerale. La vittima? Fosse rimasto a casa sua, tutto questo non sarebbe successo». Gli chiedono se suo padre lo rifarebbe: «Non so, bisogna valutare il momento. All´epoca lui aveva sparato perché aveva visto in pericolo la sua vita e quella di mia madre». Più in là, occhialini e capelli corti, c´è il fratello avvocato Marco. Ha difeso il padre per tutto il processo chiamandolo per cognome, come un assistito qualunque: «Cercate di porvi nella situazione in cui era Petrali – aveva arringato i giudici – picchiato a sangue, la testa sbattuta, quindi non in condizione di lucidità». Il sorriso dell´avvocato-figlio è doppio: «È stata scritta una bella pagina di giustizia, abbiamo avuto la risposta che aspettavamo. La pistola? No, mio padre non farebbe più la scelta di detenerne una, per evitare di prendere una decisione in quei momenti. Al di là del processo, quello che ti porti dentro è tremendo, anche considerando le sue convinzioni religiose».

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