«Ragazzi dentro», luci e ombre delle carceri minorili

Il rapporto di Antigone approda alla Camera

Il rapporto di Antigone approda alla Camera

Nel 2008 l’associazione Antigone è stata per la prima volta autorizzata ed estendere la sua attività di monitoraggio delle carceri anche al sistema penitenziario dei minori. Ieri alla Camera, con la presentazione di «Ragazzi dentro», il primo rapporto di Antigone sugli Istituti di pena per minori, abbiamo provato a raccontare il nostro sistema penitenziario minorile, individuandone punti di forza e criticità. Il primo e principale motivo di sollievo è stato scoprire che, nella stagione di massimo sovraffollamento del sistema penitenziario italiano, i minori in carcere non aumentano. Al 23 marzo 2011 negli Ipm italiani erano detenuti 426 ragazzi, un numero del tutto in media con gli ultimi 10 anni. Il sistema dunque, con le molte alternative al carcere che offre, non cede alla deriva securitaria degli ultimi anni, e l’Italia resta uno dei paesi europei che incarcerano meno i minori. La criminalità minorile non per questo cresce, e i dati sulla recidiva sono confortanti. 
Il Rapporto però fotografa anche la popolazione che effettivamente in carcere minorile ci finisce. È uno dei principali nodi critici del sistema: circa la metà dei ragazzi sono stranieri, arrestati soprattutto al centro-nord. L’altra metà è costituita da italiani, ma si tratta quasi esclusivamente di ragazzi che provengono dalle periferie delle grandi città del sud. E le ragazze? Sono praticamente tutte straniere, quasi tutte rom. Apparentemente solo i più deboli dunque finiscono in carcere, e sono deboli tre volte: perché minori, perché talmente fragili da non riuscire a godere delle molte alternative al carcere, e perché del carcere porteranno, da subito, lo stigma.
Quanto alle impressioni ricavate dalle nostre visite negli istituti, il clima ci è parso sostanzialmente buono, per fortuna non paragonabile agli istituti per adulti. Ci sono molte attività, e si cerca in ogni modo di riempire la giornata dei ragazzi, ma restano numerosi problemi. Anzitutto le condizioni materiali degli istituti, alcuni dei quali sono vecchi, malmessi o inadatti allo scopo. Alcuni sono ex istituti per gli adulti, altri ex conventi, non pochi poi sono del tutto o in parte in ristrutturazione, e la mancanza di spazio si fa sentire. Il sistema non è sovraffollato, ma per trovare spazio per tutti si trasferiscono i ragazzi dove c’è posto, e questo porta ad un secondo problema, quello appunto dei trasferimenti. Dei ragazzi stranieri arrestati al centro-nord, trasferiti verso gli Ipm del sud o delle isole, o al contrario dei ragazzi che dal sud «viaggiano» in direzione opposta. E ora delle ragazze, che da tutto il nord, dopo la chiusura dei reparti femminili di Milano e Torino, vengono portate a Pontremoli, in Lunigiana. Il principio di territorialità della pena imporrebbe di farla scontare vicino ai propri luoghi di provenienza, dei propri interessi e dei propri affetti, ed è d’altronde chiaro che il reinserimento sociale non è cosa facile quanto lo si tenta lontano da dove si vive. 
Infine c’è il problema della tutela della salute. In molti istituti sono state rilevate e segnalate carenze, ma è inaccettabile soprattutto la differenza che si registra tra aree diverse del paese. In Sicilia e Sardegna, regioni a statuto speciale dove la sanità penitenziaria non è ancora passata in carico alle Asl regionali, la situazione appare più grave. È forse questo l’aspetto più critico, che richiede interventi rapidi. 
L’altra riforma ormai improrogabile è l’adozione di un ordinamento penitenziario specifico per i minori. Dalla riforma del 1975 si applica, provvisoriamente, l’ordinamento penitenziario degli adulti. Da allora un ordinamento specifico è stato sollecitato molte volte, anche dalla Corte Costituzionale. È giunta l’ora di rispondere a questa sollecitazione.

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