Lo sciopero generale cambia (un po’) le mappe nella Cgil

SINDACATO Ieri assemblea nazionale dell’area «La Cgil che vogliamo»; sabato in piazza contro la guerra

SINDACATO Ieri assemblea nazionale dell’area «La Cgil che vogliamo»; sabato in piazza contro la guerra

Sulla strada dello sciopero generale la Cgil sta vivendo una discussione interna sicuramente più «vera». Che muove anche i confini delle «aree» congressuali fissate a Rimini 10 mesi fa. Lo si è visto anche nell’assemblea nazionale de «La Cgil che vogliamo» – la minoranza di sinistra – tenutasi ieri a Roma. 
Questioni generali e di organizzazione, come sempre, si sono mescolate con forza. Nessun dubbio nell’aderire alla manifestazione di sabato contro la guerra, né sulla campagna per l’acqua «bene comune»; né, tantomeno, per estendere a otto ore la fermata del 6 maggio. E grande attenzione per alcuni «movimenti» interni alla maggioranza della Cgil, che già hanno strappato la proclamazione dello sciopero a una segreteria confederale un po’ riluttante. In Emilia Romagna – decisiva nel chiedere la mobilitazione – la minoranza è stata fatta rientrare nelle segreteria regionale (in contrasto con la decisione congressuale di escluderla da tutti gli organismi dirigenti, Direttivo a parte). Lo stesso era avvenuto giorni fa alla Camera del lavoro di Genova e, sembra, alla segreteria regionale dello Spi (i pensionati) piemontese.
Del resto, la strategia del segretario generale, Susanna Camusso, non è che abbia fatto segnare grandi successi. Al contratto separato dei metalmeccanici, inizialmente addebitato all’eccessiva «rigidità» della Fiom, si sono aggiunti in sequenza quelli del pubblico impiego, della scuola e del commercio. In più. la «scossa» prodotta da Sergio Marchionne con il «modello Pomigliano» (e poi Mirafiori, ecc) non è risultata affatto «isolata» dentro Confindustria. Anzi, comincia a far proseliti o comunque a produrre atteggiamenti molto più «chiusi» da parte delle imprese.
A suo vantaggio la Camusso può portare solo due accordi minori – sulla «flessibilità» nel lavoro femminile e sulla detassazione degli «aumenti di produttività» – che la minoranza critica nel merito e ancor di più nel metodo («sono stati sottoscritti senza coinvolgere in alcun modo le categorie direttamente interessate»). Quello della «democrazia interna» sta diventando un problema dirimente. E’ stata diffusa una proposta di «riforma del modello contrattuale» che limita fortemente l’autonomia delle varie categorie, anche qui senza alcun «ascolto» dei diretti interessati. Per di più, nota Gianni Rinaldini, coordinatore dell’area, «la proposta di riforma segue lo schema che era della ‘concertazione’; una cosa fuori da mondo, che non c’è più». 
Sul come contrastare questa linea si sono confrontati punti di vista anche diversi. Da un lato c’è la volontà di riannodare le fila con il «nuovo centro» che va prendendo corpo e visibilità nella stessa maggioranza; dall’altra la volontà di «costruire l’area» all’interno di tutte le categorie. Con una preoccupazione comune: far riuscire lo sciopero generale. Obiettivo per cui occorrerebbe mettere in campo molta decisione, mettendo da parte i segnali «politici» che possono risultare «smobilitanti».

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