Qualunque attore di prima o di quarta categoria, a un certo punto, cambia copione. Qualunque comico cambia barzelletta, qualunque cantante cambia ritornello. Sanno, tutti, che altrimenti il pubblico si stanca. Berlusconi no. Perché per quanto ci provi, non è né un attore né un barzellettiere né uno chansonnier. E’ un pubblicitario, e la regola della pubblicità è una sola: ripetere, ripetere, ripetere.
Qualunque attore di prima o di quarta categoria, a un certo punto, cambia copione. Qualunque comico cambia barzelletta, qualunque cantante cambia ritornello. Sanno, tutti, che altrimenti il pubblico si stanca. Berlusconi no. Perché per quanto ci provi, non è né un attore né un barzellettiere né uno chansonnier. E’ un pubblicitario, e la regola della pubblicità è una sola: ripetere, ripetere, ripetere. Dev’essere per questo che giusto al culmine della sua vulnerabilità, mentre infila il tunnel di una sequenza processuale decisiva per la sostanza e per l’immagine della sua persona e del suo potere, invece di imporsi cautela spara a mitragliate l’intero repertorio del suo sovversivismo costituzionale, arricchito per l’occasione da uno sfregio a Napolitano e al suo «enorme e puntiglioso staff».
Conosciamo lo spot, già andato in onda con regolarità questa sì puntigliosa a ogni tornante degli «scandali» degli ultimi anni: per colpa della Costituzione e dei suoi garanti, capo dello Stato e Consulta, in Italia tutto il potere è in mano al parlamento, che è un’accozzaglia di nullafacenti, e alla magistratura, che è un’accozzaglia di psicopatici. Governo e presidente del consiglio, invece, non ne hanno alcuno. Vorrebbero fare ma non possono. Vorrebbero correre ma vengono continuamente intrappolati dalla congiura dei vincoli procedurali: fai una legge e lo staff del Quirinale ti fa le pulci, la rifai e te la boccia una Camera, la rifai e te la blocca di nuovo il Quirinale, riesci a farla finalmente approvare e te la boccia la magistratura appellandosi alla consulta. Povero premier: lacci e lacciuoli, e cavilli legali, identici a quelli che gravano sulle sue gesta imprenditoriali martoriate dai processi Mediatrade e Mills. Il governo come l’azienda, non fa differenza in una concezione del potere come arbitrio assoluto, dove le regole sono un impiccio e la Costituzione un impaccio.
Più difficile, a rigore di logica politica, è capire dove Berlusconi voglia arrivare alzando di giorno in giorno l’asticella dello scontro istituzionale. Uno spot nuovo, che va in onda da qualche giorno, lo mostra sicuro di poter finalmente riformare tutto, giustizia e assetto dei poteri, una volta libero da quella zavorra che si chiamava Fini. Ma anche questo spot è truccato, perché Berlusconi non può non essersi accorto che la Costituzione e i suoi organi di garanzia hanno retto per diciassette anni ai suoi reiterati assalti e reggeranno ancora. Così come è truccato il suo attacco alla scuola pubblica, non perché il suo governo non l’abbia effettivamente distrutta, ma perché in quest’ultima circostanza è platealmente volto alla ricerca di indulgenze vaticane per i suoi peccati. Dunque non c’è nessun respiro strategico in questa ennesima campagna pubblicitaria: c’è solo il disperato tentativo di arroccarsi, ironia della storia, sullo slogan del nemico principale del Cavaliere degli esordi: resistere, resistere, resistere. Tanto più se lo spot va in onda a Milano. Dove a maggio si vota, e per il presidente del Milan tutto è concepibile, ma non l’ipotesi di una sconfitta in casa. Sarà per questo che dallo stesso palco da cui attacca il Quirinale invita i suoi militanti a un bel bunga bunga, «quattro salti e quattro chiacchiere in allegria»: a Milano il tribunale va disertato, ma la piazza è ancora quella decisiva per saggiare la tenuta dell’incanto populista.
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