"Agisce avvolto nell'ombra e, a differenza di altri dei dodici, non pare desideroso di farsi notare. I Vangeli gli dedicano pochissime parole" ">

La versione di Giuda

Il grande traditore come specchio dell’uomo

Anticipiamo un estratto da Giuda – Il tradimento fedele (Einaudi)
La controversa figura dell’apostolo è il tema di un saggio sotto forma di dialogo tra il costituzionalista e la studiosa di teologia
“Si presta a interpretazioni diverse: denuncia il ‘giusto’ per mero danaro, ma è anche il capro espiatorio, coadiutore di Dio nell’opera di salvezza”
“Agisce avvolto nell’ombra e, a differenza di altri dei dodici, non pare desideroso di farsi notare. I Vangeli gli dedicano pochissime parole”

Il grande traditore come specchio dell’uomo

Anticipiamo un estratto da Giuda – Il tradimento fedele (Einaudi)
La controversa figura dell’apostolo è il tema di un saggio sotto forma di dialogo tra il costituzionalista e la studiosa di teologia
“Si presta a interpretazioni diverse: denuncia il ‘giusto’ per mero danaro, ma è anche il capro espiatorio, coadiutore di Dio nell’opera di salvezza”
“Agisce avvolto nell’ombra e, a differenza di altri dei dodici, non pare desideroso di farsi notare. I Vangeli gli dedicano pochissime parole”
GABRIELLA CARAMORE. Innanzitutto, perché “Giuda”? Da dove nasce il suo interesse personale per quell´”uno” dei dodici che tradì Gesú?
GUSTAVO ZAGREBELSKY. La domanda è coinvolgente e, in certo senso, intima. Ricordiamo entrambi il momento in cui l´idea di parlare di Giuda ci parve promettente, per un dialogo su cose importanti. Non immaginavo che l´attenzione sarebbe finita per spostarsi da una vicenda di duemila anni fa, intrecciata col processo e con la morte di Gesù di Nazareth, a un´interrogazione su noi stessi. Come per tutte le grandi narrazioni bibliche, è però inevitabile che questo accadesse anche per la figura di Giuda. Così, lei ora mi chiede perché è interessante per me. Il che significa proporre Giuda come uno specchio in cui siamo invitati a guardarci senza nasconderci ciò che vediamo, cioè a non mentirci. Naturalmente, la risposta – anch´essa – è “per me”, cioè valida per me. Per altri, non saprei. Diano la loro risposta.
Credo di poter dire così: si tratta innanzitutto del fascino del personaggio che si è cucito, o al quale è stato cucito addosso, l´abito dell´abiezione. L´abiezione ci porta alla conoscenza più autentica dell´essere umano. Ricorda l´uomo del sottosuolo dostoevskjiano? Quando sinceramente ci si rivela nell´abiezione, si è senza dubbio più sinceri, e quindi interessanti, di quando ci si mostra nel nostro lato più pulito, degno di stima e considerazione. Chi indossa o colui al quale è fatta indossare una divisa da santo è di solito più artefatto, se non addirittura falsificato, di chi si rivela nella sua bassezza. Non che manchi anche un esibizionismo dell´abiezione, ma certo Giuda non può essere accusato di questo. Nessuno dei suoi gesti è descritto come se fosse stato compiuto per essere notato, per fare scandalo, per passare alla storia. Altri, tra i dodici, indulgevano talora alla vanità. Giovanni, per esempio, anche a giudicare da quel che dice di sé nel suo Vangelo, doveva essere un grande vanesio. Giuda, il contrario. Nessun beau geste da parte sua, non nel bene e nemmeno nel male. Non vuole lasciare un´impronta di sé, non cerca di diventare un eroe agli occhi di chi gli sta attorno, o semplicemente di assumere e rappresentare una sua parte in una “storia”. Agisce avvolto nell´ombra e, a differenza di altri dei dodici, non pare affatto desideroso di farsi notare. È così appartato che i Vangeli, al di là della vicenda del tradimento di cui è protagonista, gli dedicano pochissime parole alquanto insignificanti, oltre che non certo lusinghiere. La sua morte è un suicidio disperatamente solitario. Sarà pure un caso di damnatio memoriae da parte degli altri seguaci di Gesù, registrata dai Vangeli per ragioni dettate da esigenze di fondazione della fede e coesione dei fedeli. Ma questa mancanza di esibizione conferisce indubbiamente al suo profilo il pregio dell´autenticità. In certo senso, dobbiamo dargli credito. Almeno questo, povero Giuda! Perciò, come ogni figura dell´autenticità umana, anch´egli ci interpella immediatamente. E, anche se l´interpello si manifesta nell´abiezione, ci pone tuttavia di fronte a una possibilità che dobbiamo riconoscere essere implicita nella nostra condizione di esseri umani.
Ecco un primo motivo per fermarci a riflettere un poco sulla sua figura, direi: sulla “maschera” che ci è offerta di lui, indipendentemente dalla questione della veridicità storica della sua vicenda, una questione che, in effetti, è stata sollevata. Credo che nel corso di questa conversazione ci accadrà di parlare di un “Giuda, fratello nostro”. Ecco, allora, la risposta alla sua domanda: un nostro “doppio” che ci svela un lato di noi che non amiamo vedere e, tanto meno, mettere in mostra.
CARAMORE. Torniamo ancora per un momento a considerare l´abiezione. È vero che i personaggi negativi incuriosiscono più di quelli positivi, ma, prescindendo dall´interesse morboso, qui ci troviamo di fronte a un tipo di abiezione particolare: il tradimento. Giuda è un “traditore”, anzi “il” traditore. E il tradimento è una forma sottile, nascosta, di abiezione.
ZAGREBELSKY. Sì. Il tradimento è sempre nascosto. Il traditore si dissimula. Agisce in modo tale che il tradimento non traspaia, tramite la simulazione dell´amicizia e della fedeltà. Anche in questo il racconto del tradimento di Giuda assume un andamento simbolico attraverso il bacio, il bacio del traditore. Nessun altro segno sarebbe stato altrettanto efficace, nella costruzione del paradigma del traditore come figura d´ipocrisia. Naturalmente, anche il bacio, come ogni altro elemento della narrazione evangelica, si presta a interpretazioni diverse. Sarà necessario ritornarci. Quello anzidetto è solo il significato, per così dire, più facile, e forse anche banale.
CARAMORE.E quello più profondo? Più difficile? Quello che ci fa guardare alla figura di Giuda come all´abisso che si nasconde in ciascuno di noi?
ZAGREBELSKY. Perché il tradimento di Giuda non potrebbe parlare a noi di noi? Forse perché si tratta del tradimento del giusto per eccellenza, del figlio dell´uomo o del figlio di Dio, in una vicenda svoltasi duemila anni fa che, secondo la fede cristiana, è irripetibile? Forse perché il “tradimento” di Giuda assume significati che trascendono gli accadimenti puramente umani, significati che nessun nostro tradimento potrebbe avere? I Vangeli, però, non parlano della passione e della morte di Gesù come eventi interamente guidati dal soprannaturale. Perciò gli esseri umani che vi compaiono, non operano come marionette mosse dall´alto, su un palcoscenico che non potrà mai più essere allestito.
Le grandi figure e le grandi vicende bibliche si prestano così a interpretazioni su piani diversi. La stessa cosa è anche per Giuda. Ai lati estremi, mi pare si possa dire, c´è l´interpretazione di lui come uno degli intimi del Signore, divenuto sordido traditore del “giusto” per mero danaro. Al lato opposto, troviamo l´identificazione in lui dell´atteggiamento dell´umanità intera, di fronte al divino che entra nella storia. In mezzo, sta l´immagine della disperazione, del capro espiatorio del primo gruppo di discepoli, dell´uomo posseduto da satana, del rappresentante del popolo ebraico nel rifiuto del messia, oppure dell´amico di Gesú, suo complice, del coadiutore di Dio nell´opera della salvezza, dell´iniziato alla conoscenza delle verità ultime…: una gamma d´interpretazioni, talora anche contraddittorie, che portano con sé giudizi diversi, nella quale la fede conta solo parzialmente. È difficile non trovarvi un posto anche per noi. Naturalmente, la figura dell´abiezione, con quella connessa della disperazione, è la più facile da comprendere e quindi la più diffusa. Non per questo, però, è la più banale, almeno per chi creda che ci sia più verità nell´abiezione e nella disperazione che nella santità e nella pacificazione con se stessi.

Repubblica 2.3.11
“La scoperta del mondo”, autobiografia di Luciana Castellina
Quell’adolescenza tra i Parioli e il Pd
Diario antieroico degli anni 1943-48 vissuti tra arte, feste, incontri, viaggi e impegno
di Simonetta Fiori

Un diario può rivelare molte cose, specie se riaffiora quasi settant´anni dopo dal cassetto di una protagonista irregolare della sinistra italiana. Quaderni annotati da un´adolescente tra il 1943 e il 1948, quando il mondo cambiava faccia e la storia non rinunciava ai suoi colpi di scena. Ma quello di Luciana Castellina è un racconto antieroico, che ritrae un´educazione sentimentale nutrita di passioni, curiosità e leggerezza del vivere, a tratti anche svagata e frivola. E nel confronto con tanti mémoires al maschile anche bellissimi – in cui l´autore sembra sapere sempre tutto, governa fino all´ultimo le proprie scelte – qui prorompe quella sincerità spietatamente femminile nel definirsi ignare e inadeguate rispetto agli appuntamenti della storia. «A me innanzitutto il Pci ha evitato di restare stupida», annota l´autrice nelle ultime pagine. Solo una donna poteva scriverlo, o almeno scriverlo così. La scoperta del mondo, che sarà presentato oggi a Roma alle 18 al teatro Tordinona da Alfredo Reichlin e Nichi Vendola, è stato candidato al premio Strega (nottetempo, pagg. 296, euro 16,50).
Quello di Luciana Castellina è un percorso anomalo, figlia d´una famiglia borghese di radice ebrea, cresciuta nel conformismo dei Parioli insieme a una madre molto poco conformista, Lisetta, a sua volta segnata dall´eccentricità della Mitteleuropa triestina. Cospiratore antiaustriaco il nonno materno Adolfo Liebman, compagno d´avventura di Oberdan; famiglia della microborghesia milanese laica e socialista, quella dei Castellina, che però ha meno influenza. Se la vita è l´arte dell´incontro, l´adolescente Luciana sa coltivarla con sapienza, ma soltanto molto più tardi riuscirà a trovarne il senso.
La fine del fascismo, il 25 luglio del 1943, la sorprende a casa Mussolini, a Riccione, dove sta giocando a tennis con la sua compagna di classe Annamaria, primogenita del Duce. La Resistenza, per lei, è solo un messaggio nascosto sotto le suole dello zio Memmo. I volontari di Salò non le paiono tremendi ma solo malinconici. Bisogna aspettare il suo ingresso nel ´44 a casa Apicella perché la ragazza dei Parioli guardi con occhi diversi comunisti e azionisti. E poi la scoperta dell´arte, di Mafai e Guttuso; e quella lezione su Picasso al Tasso, su incarico del Pci, che sarà il suo primo gesto politico. Arriveranno presto i primi viaggi a Parigi e Praga, la costruzione della ferrovia nella Jugoslavia di Tito, il lavoro nelle periferie, l´incontro con gli intellettuali dell´Unità, tra cui il futuro marito Alfredo Reichlin. Ma la Castellina non tralascia di annotare anche la fatuità della sua vita festaiola tra il ´45 e il ´46, le serate in maschera dove lei vestita da finlandese viene “comprata” dal giovane Carlo Aymonino. O la civetteria esercitata con Roger Vadim, futuro marito di Jane Fonda. Si deve essere divertita, e anche molto, l´autrice di questo diario. Negli anni di Botteghe Oscure l´avrà vissuta come una colpa. Oggi che può raccontarlo, ostenta imbarazzo, ma sotto sotto ne gode.
Come tutte le memorie di quella generazione, nata tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, anche La scoperta del mondo può indurre in lettori più giovani un´inconfessabile invidia. Epoca di ferro e fuoco, ma anche stagione di passioni e furori, in cui la felicità individuale coincide con la felicità collettiva. Una condizione negata alle generazioni che seguono, come scrive nell´introduzione anche la figlia Lucrezia Reichlin. Felicità doveva essere il titolo del diario. Poi ne hanno scelto un altro, forse per non esagerare.

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