La resistenza dell Anpi Il non partito che cresce

TORINO – Quando il presidente nazionale Raimondo Ricci, che ha 90 anni ed è sopravvissuto a Mauthausen, formula l’infausto presagio che al prossimo congresso dell’Associazione nazionale partigiani, tra cinque anni, non ci sarà  più in vita nessun partigiano combattente, immaginate come la prendano in platea.

TORINO – Quando il presidente nazionale Raimondo Ricci, che ha 90 anni ed è sopravvissuto a Mauthausen, formula l’infausto presagio che al prossimo congresso dell’Associazione nazionale partigiani, tra cinque anni, non ci sarà  più in vita nessun partigiano combattente, immaginate come la prendano in platea.

Dove per la verità la maggioranza dei delegati già di questo congresso – ed è la prima volta – è composta da ‘antifascisti’, definizione che comprende tutti quelli che la Resistenza l’hanno letta sui libri. Giovani è dire troppo, visto che sotto gli ottanta sono in pochi ad aver preso la via delle montagne nel ’43. Ma sono ormai abbastanza gli iscritti sotto i trent’anni, circa il 15%. Merito di quella modifica dello statuto decisa nel 2006 che ha aperto pienamente l’ingresso ai «non combattenti». Da allora l’Anpi non è più la stessa. Ma ancora c’è. E, cosa rara a sinistra, prospera. Crescono le iscrizioni, erano 95mila nel 2008 saranno 130mila quest’anno. Per avere un metro di paragone, sono molte di più di quelle dichiarate da Rifondazione, Sinistra e libertà e Comunisti italiani messi assieme. Anche se l’Anpi non è un partito, finisce con l’intercettare la voglia di partecipazione e di militanza che non guarda più alle formazioni tradizionali. E sono iscritti veri, qui funziona ancora il vecchio metodo dell’obbligo di registrazione in carne e ossa, alla sezione di residenza. Con tanto di domanda che viene vagliata dal comitato di presidenza, in genere per qualche giorno. Ne vieni fuori un attivismo decisamente più concreto di quello affidato solo alla rete e che gonfia i numeri di altri movimenti. In ogni caso i partigiani hanno anche la pagina Facebook. La mutazione sarà obbligata ma non è semplice. A cinque anni dalla modifica dello statuto, il quindicesimo congresso che ieri si è aperto a Torino e che va avanti fino a domenica può tirare un bilancio positivo. Ma è chiaro che la trasformazione di un’associazione di ex combattenti in qualcosa d’altro, specie se i numeri sono questi, richiede una speciale attenzione. Anche perché l’Anpi come tutte le associazioni di ex combattenti è vigilata (e finanziata) dal ministero della difesa. Nuovi partigiani però evidentemente non ne arrivano da 65 anni, se non nel senso che ora gli si vuole dare, e cioè difensori della Costituzione. Già adesso l’80% dei comitati provinciali dell’associazione – che sono 110, ce n’è uno in ogni provincia d’Italia – sono presieduti da un ‘antifascista’. In alcuni casi da persone giovani. Per esempio a Rimini, sezione storica che con le altre in Romagna conserva le memorie della guerra in pianura e del suo stratega Arrigo Boldini, c’è un trentacinquenne, Daniele Susini, che guida 1.200 iscritti (25 ex combattenti). Susini non ha neanche fatto a tempo a conoscere il mitico comandante Bulow che l’Anpi ha fondato e diretto per qualcosa come una sessantina d’anni. Ma si è fatto cinque anni di «gavetta» accompagnando i partigiani nelle scuole (e sì, anche andando ai funerali, «dieci in un anno») e inventando nuove iniziative come un 25 aprile delle «nuove resistenze» insieme a Libera e Emergency. «Non siamo più quelli che portano le corone sulle lapidi nelle ricorrenze delle stragi», chiarisce Nazareno Re, delegato di Ancona. Anche perché altrimenti non si saprebbe cosa fare dove lapidi ce ne sono poche e partigiani ancona meno. Eppure l’Anpi esiste anche sotto la linea Gotica, anzi la crescita al sud è il fenomeno degli ultimi anni. A Catanzaro, per esempio, non proprio un posto da fischia il vento e scarpe rotte, c’è ormai una sezione provinciale con 350 iscritti e alcune sezioni cittadine. Mario Vallone racconta di una partenza per caso, l’anno scorso, frutto dell’incontro con un concittadino che è uno dei pochissimi sopravvissuti all’eccidio nazifascista di Montalto (nelle Marche), tornato a casa in vecchiaia. Quarantenni e con ruoli di dirigenza in sezioni importanti come Parma (3.500 iscritti) e Firenze (5.500 iscritti) sono anche Paolo Papotti e Fulvia Alidori. Tra la loro generazione e quella dei partigiani, a reggere l’associazione ci sono alcune figure politiche note, come l’ex presidente dell’Emilia Romagna Luciano Guerzoni, l’ex sindaco di Torino Diego Novelli e l’ex segretario generale delle Cgil Antonio Pizzinato. Personalità che saranno sicuramente nel nuovo comitato di presidenza nazionale che uscirà dal congresso. Difficilmente però nel posto più alto, anche nel caso – non scontato – che Ricci decida di farsi da parte come hanno già fatto il novantunenne Tino Casali e l’ottantaseienne Armando Cossutta (che ieri ha mandato una commossa lettera). Cambia tutto ma la presidenza resterà a un partigiano. Come l’ex senatore Carlo Smuraglia. O magari a una partigiana, come la «staffetta» Marisa Ombra.

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