La sentenza della corte di Strasburgo è estremamente grave perché legittima il rifiuto delle istituzioni italiane di ricercare la verità sulla morte di Carlo Giuliani. Lo Stato italiano ha avuto paura ad affrontare un pubblico dibattimento in un’aula giudiziaria.
La sentenza della corte di Strasburgo è estremamente grave perché legittima il rifiuto delle istituzioni italiane di ricercare la verità sulla morte di Carlo Giuliani. Lo Stato italiano ha avuto paura ad affrontare un pubblico dibattimento in un’aula giudiziaria.
Infatti dove i processi hanno potuto svolgersi le conclusioni non hanno lasciato dubbi sulle responsabilità delle forze dell’ordine nella gestione dell’ordine pubblico e in gravi atti di violenza: 44 tra forze dell’ordine, guardia di finanza e personale sanitario condannati per le torture di Bolzaneto, 24 poliziotti condannati per la notte cilena della Diaz, numerosi altri poliziotti condannati per violenze di strada a carico di pacifici manifestanti, oltre alla condanna per istigazione alla falsa testimonianza dell’allora capo della polizia.
Il processo per la morte di Carlo Giuliani avrebbe potuto far emergere delle verità “scomode” e ulteriori gravi responsabilità su chi allora gestì l’ordine pubblico; oltre a verificare se fu effettivamente Placanica a sparare o se il giovane carabiniere fu utilizzato per coprire la responsabilità di qualcuno ben più alto in grado.
La Corte di Strasburgo con la sua sentenza ha coperto questa omertà di Stato.
La decisone della Corte risulta ancora più inaccettabile alla luce della sentenza dei giudici genovesi nel processo dei 25: in quella sentenza i magistrati hanno definito “ingiustificato e illegittimo” l’attacco dei carabinieri al corteo autorizzato delle tute bianche, attacco in seguito al quale fu ucciso Carlo Giuliani.
Se l’attacco fu ingiustificato a maggior ragione avrebbe dovuto essere aperta un’inchiesta sulle responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico.
Sorge spontanea la domanda su quanto peso abbia avuto la realpolitik sulla sentenza della Corte.
Patetica risulta la pretesa dei rappresentanti del governo di oggi e di allora e di alcuni sindacati di polizia di utilizzare la sentenza odierna per cambiare la realtà di quanto avvenne in quelle giornate genovesi.
Resta una semplice verità oggi ai massimi vertici dei nostri servizi segreti e delle forze dell’ordine vi sono persone condannate in appello per reati gravi: le loro dimissioni restano un obbligo morale e politico
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