Kim Philby deluso dall'Urss la spia più nota morì alcolista Kim Philby

La vedova, Rufina Pukhova, racconta la profonda amarezza del più famoso agente britannico passato all'Unione sovietica: "Mi chiedeva: 'Perché la gente qui vive così male?'". L'alcol prima come rifugio e poi come mezzo per il suicidio

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Kim Philby deluso dall’Urss la spia più nota morì alcolista

Kim Philby deluso dall'Urss la spia più nota morì alcolista

Kim Philby deluso dall'Urss la spia più nota morì alcolista Kim Philby

La vedova, Rufina Pukhova, racconta la profonda amarezza del più famoso agente britannico passato all’Unione sovietica: “Mi chiedeva: ‘Perché la gente qui vive così male?'”. L’alcol prima come rifugio e poi come mezzo per il suicidio

Kim Philby deluso dall'Urss la spia più nota morì alcolista Kim Philby

La vedova, Rufina Pukhova, racconta la profonda amarezza del più famoso agente britannico passato all’Unione sovietica: “Mi chiedeva: ‘Perché la gente qui vive così male?'”. L’alcol prima come rifugio e poi come mezzo per il suicidio

LONDRA – Morì attaccato a una bottiglia, sebbene di cognac, non di vodka russa. Beveva per dimenticare la sua grande illusione, per non vedere i fallimenti del comunismo sovietico, e alla fine con la determinazione di chi vuole uccidersi. Kim Philby, il più famoso agente segreto britannico passato all’Urss, fonte di ispirazione di romanzi, film e feroci scambi di accuse tra l’Occidente e Mosca, chiedeva con un dolore atroce alla moglie: “Perché la gente qui vive così male? Dopotutto i sovietici hanno vinto la seconda guerra mondiale. Perché?”

Non trovò mai una risposta. O se la trovò, non la confessò pubblicamente a nessuno. Ma a sua moglie, Rufina Pukhova, una russo-polacca che aveva sposato dopo la defezione in Urss, confidò gli interrogativi, i dubbi, il profondo senso di disillusione che avevano poco alla volta avvelenato la sua decisione di tradire una patria, la Gran Bretagna, e scegliersene un’altra, l’Unione Sovietica. “Kim aveva scelto l’Urss perché credeva in una società giusta e dopo avere varcato la cortina di ferro dedicò tutta la sua esistenza al comunismo”, racconta la vedova sulle colonne del quotidiano Guardian di Londra. “Ma una volta venuto a vivere qui fu colpito da una delusione cocente, così profonda da fargli venire le lacrime agli occhi”.

Quindi trovò rifugio nell’alcol. Due bicchieri di cognac dopo cena, tutte le sere, a cui spesso seguiva l’intera bottiglia nel corso di notti insonni. A volte chiedeva alla moglie di nascondergli il cognac, ma poi andava a scovarlo lo stesso: solo verso la fine, quando era ossessionato dall’idea di perderla e lei, per salvarlo, lo minacciò di andarsene se non avesse smesso, Philby le disse che non c’era più bisogno di nascondere la bottiglia, si sarebbe limitato ai due bicchierini, “e mantenne la parola”. Per un po’. Era comunque troppo tardi. “Beveva per suicidarsi”, afferma la vedova, e riuscì nell’intento.

Nato in India nel 1912, laureato a Cambridge, all’università Philby diventò un simpatizzante comunista. Negli anni ’30 lavorava già come informatore del Kgb da Londra. Continuò a farlo come corrispondente del Times, mandato a seguire la guerra civile spagnola, poi nel 1940, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, entrò nell’MI6, il servizio di spionaggio britannico, facendo rapidamente carriera. Ma faceva il doppio gioco, passando numerosi segreti al Cremlino. Nel 1963, mentre si trovava a Beirut sempre per conto dello spionaggio di Sua Maestà, sparì e fuggì a Mosca, dove fu trattato con rispetto, ma condusse una vita isolata, sempre protetto – o seguito – da agenti del Kgb che sorvegliavano ogni suo movimento. Per un po’ la compagnia di altri agenti britannici passati in Urss, i “Cambridge Five”, i cinque di Cambridge, che avevano fatto con lui l’università, all’epoca un terreno fertile per chi voleva lavorare nel servizio segreto ma pure permeato di idee socialiste e rivoluzionarie. In particolare uno dei cinque inglesi fuggiti a Mosca in quegli anni, George Blake, l’unico ancora vivo, andava d’accordo con Philby. Ma non fu sufficiente a cancellargli la vista dei fallimenti del comunismo: l’incapacità di costruire quella società giusta e dignitosa in cui lui aveva creduto.

“Ero venuto qui con tante idee, tante cose da dare all’Urss, mi diceva”, racconta la Pukhova, con la quale Philby si sposò nel 1973, quando lui aveva 59 anni e lei 38, “ma nessuno sembrava interessato alla mia opinione”. Così fece ricorso all’alcol. “Una volta mi disse espressamente che era il modo più semplice per farla finita. Si ubriacava rapidamente e cambiava davanti ai miei occhi. Diventava un’altra persona. Però non era aggressivo. Dopo un po’ si alzava e si trascinava fino al letto”. Morì nel 1988, venticinque anni dopo la sua defezione.

Le informazioni date da Philby all’Urss portarono alla morte di decine di agenti britannici o informatori sovietici. A Londra fu condannato ed esecrato come un traditore. In Russia è ufficialmente considerato un eroe. Una targa in suo onore è stata inaugurata nel dicembre scorso dal capo del servizio segreto russo al quartier generale di Mosca, nel dicembre scorso. Ma Kim Philby non si sentiva probabilmente più onorato per avere messo la sua vita di spia al servizio del Kgb e della Russia comunista.

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