In un vicolo cieco

Se dal vertice di Londra si aspettava il «che fare» dell’intervento militare dei «volenterosi» che è andato ad aggiungere una nuova guerra a quella «civile» in corso in Libia, la delusione è d’obbligo.

Se dal vertice di Londra si aspettava il «che fare» dell’intervento militare dei «volenterosi» che è andato ad aggiungere una nuova guerra a quella «civile» in corso in Libia, la delusione è d’obbligo.

È stato da questo punto di vista quasi un fallimento che più che le divisioni armate in campo schiera le «divisioni», cioè le crepe profonde tra gli alleati, quanto a finalità, mezzi, obiettivi e soprattutto tempi della missione. 
Perché, si conferma il comando unificato delle operazioni alla Nato, ma così scendono in campo ruoli politici e condizioni di «troppi» governi, eserciti e ambasciatori; mentre resta il ruolo centrale, di forza trainante politica e militare della Francia e della Gran Bretagna. In una Ue in frantumi, con la Germania che ha deciso di stare fuori dalla guerra. Gli Stati uniti, che pure da martedì 29 sono diventati il primo paese bombardante per numero di raid aerei contro le forze di terra di Gheddafi, insistono su un «basso profilo» preoccupati con Obama di un nuovo Iraq. 
Quindi la delega alla Nato non risolve il nodo delle finalità della missione militare. Che è a protezione dei civili e non ha per obiettivo Gheddafi, ma punta a rovesciarlo per ottenere un paese, ripete Hillary Clinton «che non sia più del dittatore». Su questo sono tutti d’accordo, Gheddafi se ne deve andare, in esilio. Ma come, nessuno lo dice. 
Ma è una proposta credibile, dopo che il Consiglio di sicurezza dell’Onu su sollecitazione dell’ambasciatrice Susan Rice ha precipitosamente deferito il Colonnello alla Corte penale internazionale che pure gli Stati uniti non riconoscono? E poi, Gheddafi deve lasciare, il paese ospitante magari sarà africano – significativamente l’Unione africana non ha volutamente partecipato al summit. E comunque non sarà un salvacondotto. E allora perché il leader di Tripoli dovrebbe accettare un esilio che preclude a una sua cattura per crimini di guerra che, di fatto, ancora non gli sono stati imputati? Soprattutto ora che, ancora una volta, le sue truppe stanno respingendo gli insorti sulle loro posizioni originarie della Cirenaica, in una controffensiva che ha al centro, in questo sanguinoso «fronte del greggio», i decisivi pozzi petroliferi?
Ecco il problema ulteriore che si pone. Perché proprio in queste ore aumentano i rovesci militari per il Consiglio transitorio di Bengasi. Nonostante l’intensificarsi dei bombardamenti statunitensi e di quelli dei «volenterosi». CONTINUA | PAGINA 4
Parliamo di centinaia di missioni di raid con altrettanti missili e tonnellate di bombe che cominciano a produrre «effetti collaterali», come l’ospedale colpito a Dita sulla strada per Misurata, secondo il reportage di ieri di Euronews. Capovolgimenti di fronte che senza dubbio hanno pesato sui risultati del vertice di Londra, che non a caso si è aperto con le notizie dalla battaglia di Misurata, dove si contano molte vittime nei combattimenti. Sono rovesci che compromettono il senso dell’intero intervento militare effettuato a ridosso, e perfino prima, della Risoluzione dell’Onu 1973. Una scelta nata, è bene ricordarlo, «per proteggere i civili», quando è apparso chiaro che il sostegno vero è stato in favore dei ribelli armati, con una partecipazione esplicita ai combattimenti. Addirittura Antonio Cassese, già procuratore della Corte dell’Aja e ora del Tribunale internazionale istituito sull’uccisione del leader libanese Rafik Hariri, ha sottolineato che la risoluzione non può essere interpretata in modo «abusivo» da Francia e Gran Bretagna. Perché è giusto colpire un tank che spara sui civili – chiamiamoli i civili-civili -, ma siamo fuori dalla Risoluzione 1973 «se il carro armato attacca i ribelli armati». Insomma: altrimenti che guerra «umanitaria» sarebbe? Ma non è più solo questo il limite dell’«elastica» Risoluzione Onu.
Visto infatti che non bastano né basteranno i bombardamenti aerei e anche i «volenterosi» ne sono consapevoli, il summit di Londra si è interrogato – se lo chiedono Hillary Clinton e lo stesso Obama – sulla possibilità di armare gli insorti. Fatto già avvenuto in parte, segretamente dall’Egitto secondo la denuncia del Washington Post. Stavolta però sarebbe un’iniziativa ufficiale, che pone da subito domande terribili sulle finalità e i tempi della guerra «umanitaria». È una eventualità, quella di armare gli insorti, contro cui, per ora, si schiera addirittura il segretario della Nato Andres Fogh Rasmussen, che ha ricordato che «l’Alleanza atlantica sarà in Libia per proteggere le popolazioni, non per armarle». E contro cui tuonano le «astenute» Russia e Cina e soprattutto la Lega araba. Nessuno si nasconde che armare i ribelli non è più nel rispetto della Risoluzione 1973 ma è l’anticamera dell’intervento di terra, perché nessuna iperfornitura tecnologia senza «capacità d’uso», può risolvere da sola i rapporti di forza sul campo. 
Tutto sembra richiamare l’inizio della guerra all’Iraq di soli otto anni fa. Quella che paventa Obama, che per l’occasione ricorda che è costata agli Usa «mille miliardi di dollari». Se non fosse che il misfatto vede già i libici, tutti, sotto le bombe, verrebbe voglia di guardare altrove. Ma un altrove non c’è. 
Allora anche per questo saremo in piazza il 2 aprile a Roma. Per dare voce a chi pensa che l’articolo 11 della nostra Costituzione non è carta straccia; che il governo Berlusconi non è solo «impresentabile» ma è un «utile idiota» internazionale, come ricordano i cablo di WikiLeaks. Perché prima è stato responsabile di ogni affare con Tripoli, poi ha trasformato l’Italia nella base della guerra aerea contro di lui. Nel disprezzo dei rifugiati, quei civili che meriterebbero l’unico intervento umanitario possibile, di accoglienza e soccorso. Né rassicurano il Pd con l’elmetto e quella «sinistra interventista», protagonista di troppe guerre «giuste» sui cui risultati non si è mai voluta interrogare. 
Saremo in piazza per dire basta a Gheddafi, 42 anni di potere assoluto sono sufficienti, se ne deve e se ne può andare, è sicuramente consapevole del suo isolamento confermato dall’aggravio delle sanzioni. Tant’è che nei giorni scorsi si è rimesso «ad ogni decisione che prenderà l’Unione africana». Ma anche per dire basta alla guerra «umanitaria». Deve esserci il cessate il fuoco, intervenga l’Onu – che sarà già a Tripoli nei prossimi giorni per trattare la fuoriuscita del Colonnello – con corridoi umanitari e con una missione di osservatori internazionali che verifichi sul campo la tregua sempre più necessaria alle popolazioni civili. Convinti che la soluzione della crisi è politica non militare. Perché la guerra tra l’altro sta allontanando, se non cancellando, ogni prospettiva alle «primavere arabe», sempre più appese alla sorte, armata, della crisi libica.

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