Migrazioni alla frontiera tra Stati Uniti e Messico. Un recente film di Robert Rodriguez e Ethan Maniquis nello stile pulp fiction e prodotto da Quentin Tarantino, Machete, ripropone la tragedia dell’immigrazione clandestina.
Migrazioni alla frontiera tra Stati Uniti e Messico. Un recente film di Robert Rodriguez e Ethan Maniquis nello stile pulp fiction e prodotto da Quentin Tarantino, Machete, ripropone la tragedia dell’immigrazione clandestina.
Ambientato nel deserto che divide Stati Uniti e Messico, il film si apre con un dialogo tra le due protagoniste: la prima, Luz (interpretata da Michelle Rodriguez) è ritenuta il capo di una rete segreta di protezione degli immigrati. La seconda, Sartana (interpretata da Jessica Alba), è una messicana naturalizzata americana arruolata nella Polizia di frontiera che si dedica a scovare e rimpatriare i clandestini. Luz le domanda perché ha deciso di impegnare la propria vita a rispedire la gente alla povertà da cui provengono e Sartana risponde: «È questa la legge». Ma Luz osserva: «ci sono molte leggi».
Lo scambio di battute è almeno antico quanto Antigone e Creonte. Eppure, è un dialogo che continua ad avere la sua attualità quotidiana nel deserto dell’Arizona. Un recente e brillante libro di Luis Cabrera (The practice of global citizenship, Cambridge University Press, 2011), al di fuori del ricorrente buonismo che caratterizza il dibattito sugli immigrati clandestini, riporta i pensieri reconditi di due gruppi di attivisti che si fronteggiano nel deserto.
Ai limiti della legge
Il primo gruppo No More Deaths («Basta morti») deve il suo nome al fatto che circa 400 persone l’anno perdono la vita nel tentativo di entrare clandestinamente attraversando il deserto. Questo gruppo di volontari fornisce acqua e cibo ai bisognosi e, ove necessario, provvede al loro ricovero ospedaliero. Il gruppo agisce ai limiti della legalità: se aiutasse i messicani ad entrare negli Stati Uniti favoreggerebbe l’immigrazione clandestina e addirittura essere equiparato agli attivissimi contrabbandieri della zona. La legge non proibisce di dar da bere agli assetati, anche se clandestini, eppure aiutare un clandestino invece di consegnarlo alle autorità di frontiera è una azione di disobbedienza civile.
Siamo spesso avvezzi a pensare che siano i caritatevoli a partecipare all’azione volontaria, ma non è quello che succede in Arizona. Il gruppo No More Deaths deve confrontarsi con un altro e assai meglio organizzato gruppo, il Minuteman Project, che ha l’opposto intento; sorvegliare le frontiere e contrastare l’immigrazione clandestina. Non mancano anche in Europa gruppi contro gli stranieri.
In Italia, Francia, Germania, Olanda e finanche in Gran Bretagna ci sono infatti movimenti di estrema destra che hanno aumentato i loro consensi elettorali scatenandosi contro gli immigrati. Ma al di fuori delle campagne elettorali, non si è ancora vista una azione volontaria volta alla caccia del clandestino alle frontiere. Le ronde di Bossi si sono per fortuna risolte in una buffonata senza alcuna attrattiva. Nel deserto dell’Arizona, invece, ci sono gruppi ben organizzati, vestiti con tute mimetiche che, a bordo di jeep munite di fari, radar e apparecchi satellitari, che hanno come unico obiettivo scovare i clandestini e denunciarli alla Polizia di frontiera. Gruppi, insomma, di pistoleri volontari che assomigliano assai a quelli che nel film Machete giungono addirittura a fare il tiro al bersaglio contro il messicano.
Paradossalmente, mentre No More Deaths è un movimento di protesta civile, i membri del Minuteman Project sono lì per far applicare la legge. Anzi, i suoi membri sono ferocemente critici nei confronti del governo americano perché non riesce, o forse non vuole, controllare adeguatamente le frontiere. Si tratta quindi di volontari che lavorano a favore e non contro lo stato. I membri del Minuteman Project fanno notare che l’immigrazione clandestina contribuisce a deprimere i salari dei lavoratori e che va tutta a vantaggio degli americani più benestanti, i quali possono avere mano d’opera a buon mercato senza doversene assumere gli oneri contributivi. Inoltre, gli immigrati clandestini vanno a vivere nelle zone più a buon mercato ed utilizzano scuole, ospedali e infrastrutture dei quartieri popolari, aggravando la già scarsa fornitura di servizi. Se, invece, gli immigrati entrassero regolarmente nel paese, il governo dovrebbe farsi carico di provvedere anche ad aumentare i servizi sociali e a finanziarli tramite tassazione. Ad accogliere gli immigrati legali contribuirebbero i ricchi e i poveri in funzione del proprio reddito. Se il paese avesse davvero più bisogno di immigrati, si dovrebbe aumentare il flusso immigratorio regolare, dando la possibilità a chi ne ha voglia di entrare legalmente piuttosto che tramite una vera e propria corsa per la sopravvivenza nel deserto.
I membri del Minuteman Project sono anche molto critici nei confronti del governo messicano e degli altri paesi latino-americani per la loro incapacità di offrire opportunità di vita decorose ai propri cittadini, fino al punto di indurli a rischiare la propria vita. Essi fanno notare che il problema della povertà dei paesi in via di sviluppo non si può risolvere solamente con l’immigrazione. Qualora il governo messicano fosse stato più efficace, i propri cittadini avrebbero potuto avere un benessere analogo a quello americano, rendendo superflua l’immigrazione per ragioni economiche. Gli stessi clandestini, invece di tentare una soluzione individuale emigrando, potrebbero impegnarsi per ottenere dal governo un impegno a favore dello sviluppo economico del proprio paese.
Cittadini del mondo
A fronte di argomenti tanto robusti, i generosi militanti di No More Deaths non sono capaci di dare una solida risposta. Loro agiscono, infatti, sull’ultimo miglio del problema migratorio, ma senza affrontare il problema complessivo. Quando sono interpellati su quale possa essere la soluzione all’immigrazione, i membri di No More Deaths ricorrono alla parabola del buon samaritano ma non ad un progetto generale di legge. Se Antigone opponeva a Creonte una legge superiore a quella dello stato, che poteva essere universalmente applicata, l’azione volontaria dei gruppi di solidarietà difetta di generalità.
Ovviamente, l’estrema soluzione sarebbe abolire le frontiere e dare ad ogni individuo che lo richieda la possibilità di entrare negli Stati Uniti. Si tratterebbe di una posizione coerente e l’applicazione massima del cosmopolitismo: ogni persona ha lo stesso diritto di vivere e risiedere dove crede e questo diritto individuale è superiore a quello della comunità di trasferire ricchezza, infrastrutture e cultura da un membro ad un altro membro. Ma sono ben pochi i cosmopolitici che si sentono di sostenere questa posizione estrema. E quindi resta aperto il problema: come devono essere regolate le frontiere? Fino a quando il cosmopolitismo non darà una risposta convincente a questa domanda, il buon samaritano rischia di essere più sprovveduto del pistolero.
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