E’ l’ora del pacifismo

Con la Risoluzione Onu 1973 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato l’intervento aereo in Libia. In realtà , si tratta di una guerra in senso stretto con esiti imprevedibili e certamente gravi.

Con la Risoluzione Onu 1973 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato l’intervento aereo in Libia. In realtà , si tratta di una guerra in senso stretto con esiti imprevedibili e certamente gravi.

Il documento delle Nazioni Unite è proiettato verso la difesa dei civili: no-fly zone, cessate il fuoco e fine di ogni violenza. Ma siamo veramente sicuri che il vecchio colonialismo anglo-francese e l’unipolarismo statunitense non si siano rimessi in moto? La Risoluzione è stata rispettata in ogni sua parte? Oppure, verosimilmente, è già stata aggirata? E l’Italia? Che ruolo può effettivamente assumere?
I tempi sono sbagliati, lo sanno tutti. La Francia ha rivendicato la primazia dell’intervento militare, l’Italia avrebbe dovuto rivendicare quella dell’azione diplomatica. Ma con quale credibilità dopo l’affaire Berlusconi? Non potevamo tirarci indietro di fronte ad una violazione sistematica dei diritti umani, non potevamo permettere al dittatore di continuare a bombardare la sua popolazione e restare ad osservare inermi la tragedia che si sviluppava sotto i nostri occhi. Tuttavia, dovevamo essere il centro nevralgico della diplomazia di pace europea e internazionale. La nostra posizione al centro del Mediterraneo ci imponeva di assumere il ruolo principale nelle politiche sulla crisi del Maghreb. Ma le paure leghiste «delle invasioni barbariche» da un lato, e l’inesistenza negli ultimi anni della nostra politica estera dall’altro, hanno fatto sì che l’Italia svolgesse soltanto un ruolo di secondo, terzo grado. Inutile quanto subalterno. Certo non era facile prendere posizione per un governo che pochi mesi prima aveva persino ospitato il Raìs in una tenda nel centro di Villa Doria Pamphilj e steso tappeti rossi al dittatore. Dal baciamano a Gheddafi siamo passati ai tornado in diretta del tg1 di Minzolini. Sarebbe stato opportuno e necessario organizzare un tavolo internazionale dove poter discutere su come bloccare lo sfregio continuo dei diritti umani. Su come aiutare i civili, portare supporto agli ospedali. Ma niente è stato fatto.
Il Capitolo VII dello Statuto Onu disciplina gli interventi militari in caso di «minaccia alla pace» e non prevede «coalizioni di volenterosi», né comandi di singoli paesi. Prevede forze armate internazionali sotto il comando delle Nazioni Unite. Perché in Libia nessuno ha proposto una peace keeping operation? Perché si procede attraverso un intervento di fatto guerresco? 
In un periodo in cui dalla tragedia giapponese il nucleare viene messo in discussione, i giacimenti petroliferi libici fanno gola ai governi di Sarkozy e di Cameron. E non solo. Forse se si pensasse a un intervento concordato e gestito congiuntamente dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, la posizione di Russia, Cina e Germania sul caso libico sarebbe diversa. E si riaprirebbe l’intera vicenda. In Libia gli interessi economici fanno ben più gola dei diritti umani. Altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui in Bahrein le rivolte vengono «sedate» e in Libia arrivano i Mirage. O i Tornado.
È l’ora di una ripresa del movimento pacifista. Che si farà in Parlamento su di un argomento di tale rilievo per gli assetti del nuovo secolo? Non è proprio il caso di usare la logora chiave del voto bipartisan. Ed è proprio il caso, al contrario, di rimettere al centro la vocazione solidaristica delle culture civili. Laiche e religiose, socialiste e progressiste. * Senatore del Pd

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