ROMA – Sono passati quasi dieci anni dalla battaglia del 2002 sull´articolo 18. Sergio Cofferati era all´epoca il segretario generale della Cgil e il “capo” del movimento a difesa dello Statuto. Oggi, dopo essere stato sindaco di Bologna, Cofferati è parlamentare europeo per il Pd.
L´articolo 18 continua ad essere un tabù per la sinistra?
«Non è mai stato un tabù. È sempre stata una norma a difesa delle dignità delle persone. È un diritto».
Eppure riguarda una minoranza dei lavoratori visto che lo Statuto si applica solo nelle aziende con più di quindici dipendenti.
«Allora perché i dipendenti delle piccole imprese, i lavoratori precari, i giovani parteciparono con tanta determinazione alla difesa di quella norma che non li riguardavano direttamente? Perché era evidente la posta in gioco: e cioè l´idea stessa del diritto del lavoro. E, insisto, il rispetto e la dignità di chi lavora. È bene ricordarsi poi che si parla del divieto di licenziamento senza giusta causa. Perché è questo che non è accettabile nella coscienza delle persone. Ora siamo alla riproposizione ideologica di un falso obiettivo. È una classica fuga dalla realtà. Poiché la realtà è drammatica, non viene affrontata e si parla d´altro. Con una crescita economica intorno all´1 per cento non si crea occupazione aggiuntiva. Vuol dire che chi è fuori dal lavoro non rientrerà e per i giovani non c´è nemmeno la prospettiva del lavoro temporaneo. D´altra parte, sono i dati dell´Istat che lo dicono».
Come pensa, allora, che si possa superare il dualismo del nostro mercato del lavoro, diviso tra chi ha tutte le tutele e chi ne ha pochissime?
«Questo è il momento delle riforme. Servono nuovi strumenti. Noi continuiamo ad applicare la cassa integrazione e i prepensionamenti che sono nati all´inizio degli anni Settanta. Il mondo è cambiato».
Qual è la sua proposta?
«Vanno riformati gli ammortizzatori sociali e introdotti nuovi strumenti. Per esempio è una proposta interessante quella di Tito Boeri sul reddito minimo garantito contro la povertà. Noi siamo tra i pochissimi Paesi europei a non avere uno strumento di questo tipo. Abbiamo ancora la cassa integrazione ordinaria e quella straordinaria, mentre ci sarebbe bisogno di elementi unificanti».
Resta il fatto che quasi nessun Paese ha una norma come quella dell´articolo 18.
«Se è per questo in nessuna nazione europea è stato sollevato il problema dei licenziamenti. Comunque ciascun Paese ha la sua legislazione e la sua storia».
Che cosa pensa dello Statuto dei Lavori proposto dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi?
«Penso che lo Statuto dei Lavoratori del 1970 sia una legge modernissima per concezione e anche per le soluzione adottate. C´è un sistema di diritti che viene riconosciuto. C´è, invece, da scandalizzarsi davanti all´idea che siccome non tutti godono delle tutele dello Statuto, allora queste si riducono a tutti. Nel 2003 la Cgil raccolse 6 milioni di firme per una legge di iniziativa popolare che estendesse la rete dei diritti, modulandola in base alle tipologie del lavoro. Dove è andata a finire?».
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