Ci vedevamo da zia Lidia

UN CIRCOLO DI CINEFILI, UN CENTRO SOCIALE

Lidia Zarrella è morta a fine gennaio, a 93 anni. La sua casa era diventata il luogo più alternativo di Avellino: lo Zia Lidia social club. Dove chiunque aveva una proposta culturale diventava libero di realizzarla. Ora che lei non c’è più i «nipoti» non si fermano, e cercano un’altra sede in città 

UN CIRCOLO DI CINEFILI, UN CENTRO SOCIALE

Lidia Zarrella è morta a fine gennaio, a 93 anni. La sua casa era diventata il luogo più alternativo di Avellino: lo Zia Lidia social club. Dove chiunque aveva una proposta culturale diventava libero di realizzarla. Ora che lei non c’è più i «nipoti» non si fermano, e cercano un’altra sede in città 

AVELLINO. Ci sono episodi e persone che fanno interrogare di più sul destino di una città che non la melassa politico amministrativa, piena di “progetti” (mille virgolette) che spesso nulla hanno a che fare col futuro delle comunità e con la speranza di un’autonomia locale autentica. Parliamo in questa pagina della storia della signora Lidia Zarrella, morta a 93 anni il 27 gennaio scorso. E ne parliamo non tanto elencando minuziosamente la sua attività sociale in età avanzata (in questo caso un curioso e affascinante cineclub nella propria casa) ma soprattutto per il nucleo forte di verità che la sua generosità verso i giovani ha espresso. E per la possibilità che gesti semplici e disinteressati di cittadini autentici, non rinchiusi nel guscio individuale di un privato deprimente, possono innescare per il futuro delle persone, sorta di piccoli miracoli che iniziano una storia nuova che tutti potrebbero vedere se non fossero offuscati da una visione distorta della vita pubblica indotta da quella che oggi impropriamente si chiama “politica”.
Non tutte le piccole e medie città italiane ed europee sono prive di un’autonomia progettuale (nel senso di un ruolo forte per se stesse), ma tante sì. Una di queste è il capoluogo irpino, Avellino, città di 60mila abitanti, che da anni ha smarrito, se mai l’ha avuto in passato, un ruolo preciso perché mai, e ancor di più negli ultimi 20 anni, ha progettato il suo futuro in modo autonomo, guardandosi allo specchio innanzitutto, cioè programmando per sé, e poi rapportandosi al mondo italiano ed europeo. È prevalso invece il piccolo cabotaggio rinchiuso nei confini regionali asfittici e pieni di subalternità ai vizi peggiori della pianura e dell’area napoletana. Così, quella che era stata una finta (perché giocata tutta su questioni virtuali e mediatiche) autonomia in regime democristiano e demitiano con la città e la provincia gestita clientelarmente dal famoso «clan degli avellinesi», con in testa Ciriaco De Mita, che aveva anche scalato il potere politico in Italia, si è tramutata in questi ultimi anni in qualcosa di peggiore. Cioè una subalternità introiettata, quasi come se una piccola città dovesse inevitabilmente dipendere da quelle più grandi e vicine. Naturalmente non è stata così la storia di altre piccole e medie città italiane ed europee che hanno programmato coraggiosamente in modo autonomo il proprio futuro sfidando chiunque senza complessi di inferiorità. Ad Avellino il complesso di inferiorità si respira ovunque ed è la crisi della città. Se c’è un’origine vera della palude in cui sguazza il capoluogo irpino è quest’incapacità di pensare in grande, al di fuori dei conformismi legati alle piccole cose (o “cose concrete” che dir si voglia) e ai gigantismi (altro sogno piccolo borghese) che ne sono l’altra faccia della medaglia.
Ma cosa c’entra la signora Lidia Zarrella, detta Zia Lidia da una schiera di acquisiti “nipoti” (così spesso si chiamavano i frequentatori della sua casa), con i destini della città? Lei che non è stata né deputato, né sindaco, né amministratore di alcunché? C’entra, c’entra, e più di quanto tanti possano immaginare. Zia Lidia aveva dato vita, nel 2002, a un’apertura pubblica della sua ampia casa, al numero 39 di via Roma, per ospitare persone intenzionate a raccogliersi attorno alla cultura cinematografica e non. Ne era nato, quasi per caso per molti partecipanti alle serate di proiezione ma non per l’ironica e generosa signora Zarrella che aveva più antenne e lucidità per capire l’importanza vitale del rapporto con gli altri e con i giovani, lo “Zia Lidia Social Club”, luogo di ritrovo e di solidarietà tra amici e appassionati cinefili e non.(la casa era anche luogo di sperimentazioni artistiche diverse). Così dal primo novembre del 2002, sotto spinta della padrona di casa che amava aprire il suo privato a un pubblico curioso e qualificato (gesto del tutto semplice ma pieno di rivoluzionarie conseguenze nella nostra egoistica e decadente società), partì questo esperimento di fruizione libera e stimolante con rassegne e incontri con gli autori, discussioni tra amici, possibilità di fare amicizia in modo nuovo, stimoli spesso non più contemplati nella sonnacchiosa vita della città. E così si diede vita a questo originale esperimento, nel grande salone della casa, partendo con due film di Kiarostami e Jeunet-Caro. Fu un primo gruppo di pionieri ad aprire le danze di quest’attività libera e stimolante, persino in seguito luogo di formazione collettiva per tanti. E naturalmente non si contano le rassegne: da quella su Michelangelo Antonioni al Mediterraneo in cinema, da Miyazaki a tantissime altre. Sono stati davvero tanti i film e i dibattiti (anche con registi e sceneggiatori) che hanno attraversato il regno di Zia Lidia, spesso con pazzie vere e proprie, cioè tre film di seguito, poi naturalmente ridimensionati a due che fu la cifra abituale di questi appuntamenti. E poi il teatro per bambini, le mostre, e, ovviamente, gli incontri che diventavano anche rapporti umani più ricchi e motivati. Zia Lidia, anche per questioni di salute, non era sempre presente alle proiezioni ma supervisionava dalla sua camera dove però riceveva sempre ognuno dei suoi ospiti che andava dapprima a salutarla ma soprattutto a parlare delle cose fatte o da fare. Già, perché una delle caratteristiche di quest’avventura era la assoluta libertà di proposta di ogni ospite. «È stato un crescendo: dapprima piccoli gruppi e poi, via via, sempre più numerosi» dice una ancora commossa Michela, nipote vera della signora Zarrella. E Tolmina, altra frequentatrice della casa aggiunge: «Zia Lidia è stata donna di eccezionale intelligenza e spirito. Dall’alto dei suoi ottant’anni ha accettato di accogliere in casa frotte di giovani sconosciuti arrivati per vedere un film, o per godere di una mostra fotografica, o assistere a una rappresentazione teatrale o degustare pietanze esotiche preparate dall’ospite straniero di turno, ma anche prendere parte ad una festa. Una dimostrazione di apertura mentale e modernità che pochi quarantenni possono vantare in città. Ha costruito in pochi anni una famiglia allargata, metropolitana, una sorta di Pacs trasversale ed accogliente». Franco (Festa) si gode il successo della sua creatura, il commissario Melillo, personaggio della quarta avventura poliziesca del suo nuovo romanzo ambientato ad Avellino. Anche lui frequentatore di Zia Lidia, ne ha tessuto le lodi il giorno della scomparsa definendola una maga meravigliosa in un mondo incantato. «Se oggi in città ci sono alcuni fuochi culturali di una certa vivacità – racconta – va detto che il precursore è stata Zia Lidia. Credo che il lavoro iniziato da lei ha dato i suoi frutti. Lì si è respirata una fruizione diversa del cinema, anche per lo stile dell’accoglienza, per l’amicizia, l’affetto, la solidarietà. Sicuramente un’esperienza che andrebbe presa a campione». Mario ha frequentato la casa quando faceva l’assessore al Comune: «La sua incredibile naturalezza e confidenza – racconta – non faceva sentire minimamente il distacco generazionale. Era un po’ come se ti leggesse dentro semplicemente guardandoti negli occhi. Io non ho memoria di una persona così ad Avellino. E, dopo la sua scomparsa, oggi è ancora più evidente e forte la sua personalità. Avellino era un deserto per me, perciò mi colpì in quella casa la capacità che c’era di confrontarsi. Un ambiente che creava stimoli. Ci si andava contenti, lo leggevi negli occhi di tutti. Il viaggio collettivo che organizzammo per il festival di Cannes è stato indimenticabile». Nello, altro frequentatore della casa, dà questa lettura: «Ho sempre vissuto le frequentazioni dello Zia Lidia Social Club come un grande esperimento che poteva vedere unite le due parti estreme della società: i giovani e gli anziani. Questa finalità sociale per me è sempre stata molto marcata. L’idea doppia di fare assistenza in modo biunivoco e volontariato sociale attraverso il cinema per i giovani è un’idea forte. In quest’ottica può svilupparsi una trasformazione sociale che rende, secondo me, la differenza pubblico privato senza più senso. Il primo aspetto rivoluzionario della questione era questo. Il secondo aspetto era quello legato alla dimensione del circolo che fa comunità, identità, palestra di comportamento, ascolti con più punti di vista. E, del resto, qualunque esercizio estetico se non è concluso, è fine a se stesso. La casa era vitale per la nostra attività perché non c’era la visione passiva di un film». «E poi – continua Nello – c’erano gli aspetti più utopistici: niente tessere, niente trasformazione dell’amico in utente, responsabilizzazione di tutti con funzioni del tutto gratuite. Insomma nello Zia Lidia Social Club si sono costruiti pezzi di società, implicitamente questa esperienza rappresenta una lente di ingrandimento per processi che stanno avvenendo in città».
Sì, in città, come anche altrove in Italia, sta crescendo nel campo culturale del cinema, della musica coniugata nei vari filoni, del teatro, della letteratura, una sorta di ramificazione di esperienze che cercano di uscire dalla cappa ormai insopportabile del berlusconismo. Non è detto che ci riescano, se non fanno il salto di qualità nella ricerca e nella sperimentazione sfidando il parassitismo di poteri che non hanno più nulla da dire e non sapranno, sul piano del rinnovamento sociale e della nuova politica, mettere in campo grandi idee di autonomia.
In una città come Avellino che un tempo si sarebbe chiamata piccolo borghese, e oggi magari non si sa neppure più come nominare, il privato che diventa pubblico, nel modo così generoso e coraggioso praticato da Lidia Zarrella, lascia il segno. Ora che lei non c’è più i tantissimi nipoti veri e acquisiti che l’hanno frequentata sono cresciuti tanto da aver bisogno di espandere le proprie attività al di fuori della casa originaria. Era già accaduto quando Zia Lidia era in vita. Ora che quelle persone sono impegnate nella ricerca di una nuova sede perché reclamano un ruolo attivo in città per il loro circolo, sarebbe davvero un peccato se la sensibilità grande e lo spirito della signora Lidia venisse rimpicciolito nell’attività culturale magari interessante ma non all’altezza di quella rottura di convenzioni e conformismi.

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LE REGOLE Il decalogo del più singolare centro culturale d’Italia
«Primo: bussa senza scrupoli»
Tra le scherzose regole senza tessera della casa di Lidia Zarrella, alias Zia Lidia, che ha donato domeniche straordinarie a tanti, da non dimenticare erano soprattutto queste: «1) Puoi bussare senza scrupoli alla porta del terzo piano di Via Roma n.39. 2) Sarai invitato ad accomodarti sul divano per godere della visione di un buon film, di uno spettacolo, di una mostra, l’ascolto di letture, ed infine non ultimo del dibattito. 3) Ti sarà offerto un piatto caldo e un bicchiere di vino, se capiti nella serata fortunata. 4) Puoi partecipare alle assemblee e proporre la tua serata, la tua iniziativa, comunicare e condividere la tua idea. 5) Puoi usufruire liberamente di tutto quanto viene offerto dalla biblioteca, videoteca ed emeroteca dello Zia Lidia Social Club. 6) Con una stretta di mano della zia in persona entri a far parte della famiglia dello Zia Lidia Social Club che quest’anno oltre a continuare ad adottare nipotini avellinesi e non si lancia nell’adozione di un primo bimbo africano». «Sono stati davvero anni intensi pieni di partecipazione culturale e umana. Ora che lei non c’è più speriamo di continuare in compagnia della sua ironia e della sua generosità» dice Michela, nipote vera di Lidia Zarrella e presidente dell’associazione Zia Lidia Social Club che ha intrapreso una nuova storia in città ed è alla ricerca di una nuova sede.

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