Museo delle statue: quarantuno Marx ed Engels una volta sparsi nei viali cittadini. Vale la pena visitare il cinema Corvin, il più antico. È la ex roccaforte dei rivoltosi. Buda: l’ospedale in roccia si trova nelle viscere del monte dove sorge il castello. Pellegrinaggio turistico sul filo rosso del comunismo e dei fatti del 1956: così la capitale dell’Ungheria ha fatto della storia la sua attrazione fatale. Basta fare un salto al Sziklakorhaz o alla Terror haza per capire perché
Museo delle statue: quarantuno Marx ed Engels una volta sparsi nei viali cittadini. Vale la pena visitare il cinema Corvin, il più antico. È la ex roccaforte dei rivoltosi. Buda: l’ospedale in roccia si trova nelle viscere del monte dove sorge il castello. Pellegrinaggio turistico sul filo rosso del comunismo e dei fatti del 1956: così la capitale dell’Ungheria ha fatto della storia la sua attrazione fatale. Basta fare un salto al Sziklakorhaz o alla Terror haza per capire perché
BUDAPEST. Certo, quando si esce da una dittatura di tutto si ha voglia tranne che di parlarne: un po´ per dimenticare, un po´ per evitare di capire quante persone la appoggiarono. Si rimuove, si accantona, magari se ne riparla decenni dopo. Come hanno fatto in Spagna, o in tanti paesi dell´Est. Ma non in Ungheria. Dove l´approccio è stato in parte diverso: il comunismo è stato sfruttato come attrattiva turistica. Una sorta di risarcimento postumo, come dire: ci avete tolto libertà, benessere, speranze, adesso almeno ridateci un po´ di soldi.
A Budapest non solo si può girare per la città e vedere i luoghi che furono teatro della tentata rivoluzione del 1956, quella di Imre Nagy, repressa nel sangue e nella polvere da sparo dei carri armati sovietici: Kossuth Ter, la piazza del parlamento sede degli assembramenti politici e di una strage che fece scoccare l´insurrezione popolare, la statua di Nagy lì accanto e la sua tomba al cimitero Kerepesi, il cinema Corvin roccaforte dei rivoltosi. Ma si possono visitare tre musei che rievocano quel passato fatto di miseria, indottrinamenti, violenze. Anzi, tre luoghi storici. Quello più antico è Sziklakorhaz, l´ospedale in roccia, che si trova a Buda, nelle viscere del monte sul quale sorge il castello. Un sistema di grotte, cantine e gallerie le cui vicende degli ultimi settanta anni sono il simbolo di quelle dell´Ungheria. Allo scoppio dell´ultima guerra mondiale le grotte furono riadattate e puntellate perché servissero da rifugio antiaereo, poi utilizzate come ospedale (pronto soccorso, sale operatorie e addirittura un reparto radiografie). Utilizzate poi come fabbrica di farmaci, durante la ribellione del 1956 tornarono a essere punto di soccorso e medicazione dei feriti (ma non solo: vi furono anche partoriti sette bimbi).
Dopo la controrivoluzione e il ritorno del regime, nei periodi di maggiore paranoia da Guerra fredda l´ospedale è stato trasformato in un bunker da usare in caso di attacco chimico o nucleare, con tanto di sistema di pompe e rete idrica in diretto collegamento col Danubio, filtri antigas, generatori elettrici, e naturalmente un reparto ospedaliero. Fino alla sua progressiva trasformazione in un magazzino della protezione civile. Dal 2007 è un museo, che ha un inquietante negozio di souvenir: maschere antigas, giubbe militari, barelle, gavette e siringhe d´epoca.
È invece museo dal 2002 – e ancor più inquietante – Terror haza, la Casa del terrore, e mai nome fu più azzeccato. Questa sinistra palazzina di Andrassy ut era la sede e il luogo delle torture dell´Avh, la polizia segreta del regime comunista. E camminare in questo museo fa davvero accapponare la pelle (al punto che la visita è ampiamente sconsigliata ai bambini). Riconoscerla è facile perché ha la parola Terror scritta enorme su cornicione nero, e nel cortile interno un carro armato russo originale e un pannello coi visi di 3.600 ungheresi uccisi. Appena si entra, suoni lugubri accompagnano i tabelloni e i cimeli che raccontano la storia dell´Ungheria, il suo passaggio dall´impero asburgico a un regime filonazista fino all´ingresso nell´area del Patto di Varsavia, ma scendendo si passa alle torture che furono fatte nel palazzo, con tanto di video di un´esecuzione e urla strazianti. E la visione delle celle dove avvenivano le torture, lasciate intatte, fa stringere davvero il cuore: qui i prigionieri venivano torturati, lasciati senza cibo, con luci puntate addosso 24 ore su 24, fino a che morivano o confessavano qualunque cosa. Quando i rivoltosi del 1956 entrarono cercarono un tritacarne con cui si diceva venissero fatti sparire i corpi, ma senza trovarlo: non esisteva, ma vedendo questo museo, da cui si esce davvero scombussolati, non si stenta a credere che qualcuno ne avesse immaginato l´esistenza.
Decisamente più leggera la visita al museo delle statue, nei sobborghi di Budapest. Qui dal 1993 sono stati messi quarantuno monumenti che una volta erano stati disseminati lungo le vie della città. Statue dove trionfano il cattivo gusto e la pacchianeria oltre ogni descrizione: brutte, squadrate, allegoriche e realistiche, dedicate a Marx, Engels, i soldati dell´Armata Rossa, la statua del liberatore (alta sei metri, stava in cima a una collina e la si vedeva da ogni parte). Statue che una volta erano onorate durante retoriche cerimonie cui non credeva nessuno. È difficile immaginare questa Disneyland del comunismo sparsa per le vie di una città monumentale, elegante e ancora splendida come Budapest. Invece era così fino al 1989 e questo parco a cielo aperto (dove si possono comprare memorabilia d´epoca come modellini di Trabant e colbacchi con falce e martello o ascoltare la voce di Stalin fingendo di parlare al telefono rosso) fa capire che uno dei crimini della dittaura filo-sovietica, certo non il maggiore, ma neppure dei più piccoli, fu di fare sprofondare Budapest e l´intera Ungheria nel grigiore e nella bruttezza.
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