Bobbio: la linfa vitale di ogni democrazia è il diritto al dissenso

Da socialista difese le libertà  borghesi

Da socialista difese le libertà  borghesi

Conviene leggere direttamente i testi di Norberto Bobbio (1909-2004), perché su di lui circolano molte leggende. Prima fra tutte quella che ne fa il santone di una sfuggente ideologia «azionista» , a volte esaltata, più spesso esecrata. In realtà nel Partito d’Azione, effimero incontro di variegate correnti antifasciste, Bobbio non ebbe gran peso. Vi militò durante la Resistenza, fu candidato nelle sue liste alla Costituente, scrisse sulla stampa azionista. Ma negli atti dei tre congressi svolti dal Pd’A, raccolti in volume anni fa da Giancarlo Tartaglia, il nome del filosofo torinese non figura mai. Ha poco senso anche metterne in dubbio la caratura liberale, rinfacciandogli il costante dialogo con i comunisti. Bobbio si collocò sempre nella sinistra, che identificava con il valore dell’eguaglianza. Ovvio che si ponesse come interlocutore del Pci, la forza maggiore del movimento operaio. In altre parole, Bobbio era socialista ed è ozioso dargli lezioni di liberalismo classico. Del resto non nascondeva la sua distanza dai fautori più accesi del mercato: nel volume Il futuro della democrazia, in edicola domani con il «Corriere» , si trova, per esempio, un saggio in cui Bobbio presenta l’offensiva neoliberista degli anni Ottanta come un’insidia per la democrazia, che a suo avviso non può fare a meno dello Stato sociale. Vero è invece che, all’interno di una sinistra italiana a lungo dominata dal marxismo, Bobbio si distinse per una difesa strenua della libertà individuale, cui attribuiva un «valore universale» , non riducibile alla sua origine storica di prodotto delle rivoluzioni borghesi. Non concepiva un socialismo che sacrificasse i diritti del singolo e su questo incalzò ostinatamente i comunisti, dimostrando in modo inoppugnabile che il pensiero di Karl Marx non conteneva affatto una teoria valida della politica e dello Stato. Bobbio, insomma, era nella sostanza un socialdemocratico, refrattario però alla collaborazione governativa con i democristiani. Sperava invece nell’alternativa di sinistra (lo scrive anche in un passo del libro in edicola con il «Corriere» ) e perciò si sforzava di indurre il Pci ad accettare i valori dell’Occidente. Quando il comunista Giorgio Amendola, nel 1964, propose di creare un partito unico della sinistra, Bobbio si disse d’accordo, ma aggiunse che la nuova ipotetica formazione avrebbe dovuto necessariamente svolgere una politica socialdemocratica. Più tardi il filosofo torinese appoggiò il nuovo corso del Psi di Bettino Craxi. Ma non ne condivise mai le tendenze presidenzialiste e plebiscitarie. Convinto fautore del «governo delle leggi» , Bobbio era assai diffidente verso ogni forma di potere personale carismatico, anche sotto spoglie socialiste. Logica, di conseguenza, la sua profonda avversione per Silvio Berlusconi. Se poi il cosiddetto «azionismo» s’identifica, nella caricatura corrente, con una forma di giacobinismo proteso alla rigenerazione morale dell’Italia, da compiersi magari per via giudiziaria, Bobbio c’entra ben poco. A parte le sue critiche, che pure non mancarono, ai magistrati di Mani pulite per l’uso eccessivo della custodia cautelare in carcere, lo studioso piemontese guardava alla politica con malinconico realismo. Lungi dall’affidare alle istituzioni un ruolo pedagogico, aveva una visione procedurale della democrazia, come insieme di norme che permettono di cambiare i governanti senza spargimento di sangue. E tra le regole del gioco considerava fondamentali quelle volte a garantire il diritto al dissenso. Maestro del disincanto e non certo dell’utopia, Bobbio era sordo alle sirene rivoluzionarie. Molti suoi allievi avevano militato nel movimento studentesco, ma lui considerava il Sessantotto una stagione tutto sommato «ingannevole» . La sua disillusione, però, non era mai sfociata nel cinismo. Non si stancava di deplorare la qualità «men che mediocre» della democrazia italiana, continuava a denunciare l’ipoteca minacciosa (e spesso omicida) dei «poteri invisibili» sulla vita pubblica. Per questo coloro che nel cinismo amano crogiolarsi proprio non lo sopportano. Nemmeno adesso che è morto.

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