A Potenza il giorno della Memoria

Oggi a Potenza si apre il giorno della Memoria e dell’impegno voluta dall’associazione Libera quindici anni fa. Parla don Marcello Cozzi, responsabile di una fondazione antiracket che si è appellato a Napolitano: «In Basilicata opera un intreccio di potere e criminalità  che riesce a occultare corpi in una chiesa per 17 anni. Ma per media e istituzioni, non esiste»

Oggi a Potenza si apre il giorno della Memoria e dell’impegno voluta dall’associazione Libera quindici anni fa. Parla don Marcello Cozzi, responsabile di una fondazione antiracket che si è appellato a Napolitano: «In Basilicata opera un intreccio di potere e criminalità  che riesce a occultare corpi in una chiesa per 17 anni. Ma per media e istituzioni, non esiste»

Marcello Cozzi, don. Potentino, 48 anni, due proiettili calibro 12 ricevuti per posta nel 2008. È il responsabile dell’associazione Libera in Basilicata, quindi padrone di casa del 15esimo giorno della Memoria. Che quest’anno si celebra a Potenza «perché», spiega «i morti di mafia sono di tutti. Perché anche la Basilicata ha le sue vittime. E infine perché da metà anni 70 ad oggi ci sono qui molti omicidi per i quali non c’è né verità né giustizia. Il caso di Elisa Claps è il più noto. Ma di Elise, qua da noi, ce ne sono almeno 16». Lei tre anni fa ha scritto un libro sui ‘basilischi’, «Quando la mafia che non esiste». La vostra criminalità, per i media e le istituzioni, non esiste? Non abbiamo la mafia classicamente intesa. Ovvero: abbiamo anche le nostre 192 persone condannate per 416 bis. Su 600mila abitanti non è poco. Ma qui la mafia ha altri volti. Poteri forti, massoneria. Cosa hanno a che vedere con le 16 persone di cui parlava? Sono 11 uccise, 6 scomparse. Corpi non ritrovati. Storie anche diverse tra loro. Quella di Elisa e la storia dei ‘fidanzati di Policoro’, Luca Orioli e Mariarosa Andreotta, trovati uccisi nel bagno di lei nell’88 (il 22 marzo si conosceranno gli esiti dell’autopsia dei loro corpi, effettuata dopo 21 anni, ndr) sono il buco della serratura da cui vediamo un’altra Basilicata. Se anche si è trattato di omicidi per ragioni ‘banali’, un raptus, un gioco finito male, la macchina che poi li ha coperti e insabbiati ci svela la presenza di un sistema capace di occultare la verità per decenni. Con dinamiche da sistema mafioso. Di cui fa parte sia chi occulta, sia gli insospettabili e eccellenti che manovrano. Qualche mese fa, sulla vicenda Claps, lei si è appellato a Napolitano, come presidente del Csm, contro l’operato di una magistrata. Gli abbiamo chiesto se fosse opportuno che il caso fosse seguito dalla pm Felicia Genovese, sposata a un signore che aveva contatti telefonici, comprovati, con uomini della ‘ndrangheta. Anche alla luce di quegli interrogativi che restano aperti, in quell’indagine. Tipo: perché non hanno sequestrato subito gli abiti di Danilo Restivo, oggi, dopo 18 anni, inchiodato dal dna? Da 18 anni con la famiglia diciamo che andava subito messo sotto torchio. Gli investigatori di oggi dicono che se all’epoca si fossero prese queste misure in 48 ore il caso era risolto. Invece il corpo di Elisa è stato trovato l’anno scorso. Dopo 17 anni, nel sottotetto della Chiesa della SS. Trinità. Lei è un prete. Che impressione le fa? È la cosa che ha fatto più male a quella donna profondamente credente che è la mamma di Elisa. A me, da prete, innamorato della Chiesa, fa male. E lascia aperti tanti interrogativi sulle responsabilità degli ambienti ecclesiali. E dei laici di quella parrocchia. Un macigno. Lei parla delle connivenze della magistratura lucana. Ma la famosa inchiesta ‘Toghe lucane’, di Luigi De Magistris, è finita archiviata. È caduta troppo presto nel dimenticatoio. Ma non ci sono stati rinvii a giudizio. In questo paese c’è anche la mafia delle parole. Decreto di archiviazione non significa che non è successo niente. Mi chiedo ancora se De Magistris non avesse comunque visto giusto. Lui ora fa il candidato sindaco di Napoli. De Magistris è stato fatto fuori. Oggi i magistrati non si uccidono, ma in qualche caso si portano davanti al Csm. Dove, per carità ci sono tutte brave persone. Certo, in quell’inchiesta avrà senz’altro messo il piede in fallo. Ma io, che sono entrato in quelle carte come parte lesa, ho avuto modo di venire a conoscenza di un piano di discredito nei miei confronti. Chi complottava contro di lei? A me i conti sono tornati. Ma niente nomi, è tutto archiviato. Vede, a me prima mandavano le pallottole. Oggi mi querelano. Lei faceva politica da ragazzo? No. Faccio politica, per così dire, da 21 anni. Da quando faccio il prete. È un prete comunista? No. Sono innamorato del vangelo di Gesù. Gesù faceva politica. La vera politica è stare dalla parte dei beni comuni, dei poveri, di quelli che hanno bisogno di essere difesi. Gesù ha unito il cielo con la terra. Lo dice sempre anche don Luigi Ciotti. Frei Betto, teologo della liberazione, dice: sono discepolo di un prigioniero politico. Bella. E aggiungo: vittima di un’ingiustizia. Per questo oggi un cristiano, non solo un prete, non può che camminare insieme a chi è vittima di percorsi di giustizia non compiuti. Non si tratta di essere comunisti o antropologicamente diversi, come dice qualcuno. Hélder Camara diceva: se do da mangiare ai poveri mi chiamano santo, se chiedo perché i poveri hanno fame dicono che sono un comunista. In questo senso sì, sono comunista. Da anni ha una fondazione antiracket. In pratica, vive in mezzo a notizie di reato. Si cammina lungo quel confine. Nei primi anni di sacerdozio ero parroco di un paesino. Ma poi incontravo sempre vittime di usura e di droga. E quando il padreterno ti mette quest’ansia nel sangue, non hai scelta. Abbiamo anche case di fuga per ragazze vittime di tratta. Le vittime dell’usura e del racket vengono da lei. E lei racconta al magistrato? Loro raccontano. Io cerco di acquistare la loro fiducia. Cerco di far capire loro che non ha senso tacere. C’è chi ti autorizza a parlare, facendo o no il proprio nome. O chi dice sì, se tu mi accompagni. Non osserva il vincolo della confessione? Non faccio quest’attività in confessione. Ma francamente per me è lo stesso. Il vincolo di fiducia viene prima di tutto, è già un vincolo di segreto, anche se non ho la stola sulle spalle e non è formalmente sacramentale. Una volta viene da me una persona che ha visto un omicidio. Ci ho messo un anno e mezzo a convincerla a parlare. Poi ho saputo che ero intercettato per scoprire chi era. Io gliel’ho portata prima che loro lo scoprissero. In ogni caso se una persona si confida con me io non la lascio. Molte associazioni e giornalisti in Basilicata denunciano la nuova frontiera del crimine, il petrolio. Qui da noi c’è un patto fra il palcoscenico del malaffare, quello dei criminali volgari che noi chiamiamo ‘mafiosi’ e che trattano in usura, droga, prostituzione, con un dietro le quinte dove si muovono affaristi anche insospettabili, che ricevono fondi comunitari. Abbiamo il secondo giacimento in Europa in terraferma. Ma allora perché siamo una regione così povera? Perché i nostri giovani se ne vanno via, ché qui non trovano lavoro? Il petrolio che esce dal sottosuolo della Basilicata è tutto quello che ci viene quantificato dai numeri, o ci sono estrazioni in nero, rivoli che escono altrove? E cosa vanno a finanziare? Ecco, noi di Libera non facciamo gli investigatori. Ma insieme a tante persone, cerchiamo di tenere i fari accesi.

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