I manifestanti assediano il Parlamento e la residenza del premier 
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Suleiman: “L’Egitto a rischio di golpe”

Gli Usa: l’esercito resti moderato. Tre morti nel sud. Al Qaeda chiama la piazza alla jihad. I manifestanti assediano il Parlamento e la residenza del premier 

Gli Usa: l’esercito resti moderato. Tre morti nel sud. Al Qaeda chiama la piazza alla jihad. I manifestanti assediano il Parlamento e la residenza del premier 

 Parlamento e residenza privata del primo ministro sono da ieri sotto assedio. Sono stati di parola, i ragazzi del movimento “6 aprile”. Promettevano un´escalation della protesta e a migliaia non hanno esitato a metterla in pratica. Nessun eccesso per ora, tranne quelli verbali, i soliti poi. Da “Mubarak vattene” a “ladri”, urlato all´indirizzo dei deputati. Ad ogni buon conto mezzi corazzati dell´esercito vigilano impedendo che la situazione precipiti. La collera varca dunque i confini della piazza e arriva davanti ai palazzi del potere. Inizia, insomma, la cosiddetta “fase due” della complicata crisi egiziana. Quella che qualcuno ha sintetizzato, non senza un eccesso di enfasi, con lo slogan “Vittoria o morte”. 
Per questioni di sicurezza, i dipendenti del Parlamento egiziano sono già stati evacuati. E lo stesso premier, Ahmed Shafiq è stato costretto ad abbandonare il proprio ufficio per trasferirsi nella sede del ministero dell´Aviazione civile.
Omar Suleiman, il vice di Hosni Mubarak, il garante della transizione, l´uomo che piace a Stati Uniti e Israele, convinto assertore della necessità di un negoziato che metta fine alle proteste che stanno portando il paese al collasso, teme il rischio di un golpe. «L´alternativa al dialogo è un colpo di Stato che porterebbe a conseguenze affrettate e incalcolabili, frutto di irrazionalità. Non vogliamo raggiungere questo punto, noi vogliamo proteggere l´Egitto». Scenario inquietante, dunque. Tanto più che a farlo è un fuoriclasse dell´intelligence, uno che fino a ieri l´altro è stato il potente capo dei servizi segreti. Parole pesanti, pronunciate nel corso di un incontro con i direttori dei maggiori quotidiani egiziani. C´è davvero questo rischio o è solo un “escamotage” per impaurire la piazza e convincerla a desistere? Persone vicine al governo hanno poi provato a minimizzare la portata delle affermazioni dell´ex numero uno del mukhabarat. «Non voleva minacciare il golpe militare – hanno fatto sapere – ma solo mettere in guardia dalla possibilità che gruppi islamici o altri apparati statali possano approfittare della situazione».
Alla vigilia dell´ennesimo giorno della verità – domani venerdì si chiude la “settimana della tenacia” con una manifestazione che si annuncia oceanica – la tensione in Egitto non solo continua a essere altissima, ma si sta estendendo anche ad altre zone. A El Khargo, 400 chilometri a sud del Cairo, almeno tre persone sono morte e altre 100 sono rimaste ferite negli scontri scoppiati ieri tra polizia e manifestanti. E come se non bastasse la rabbia popolare, la minaccia di colpi di mano, irrompe sulla scena anche Al Qaeda. Il sedicente “Stato Islamico dell´Iraq”, branca della rete di Bin Laden chiama infatti alla jihad i manifestanti anti-Mubarak e li esorta a battersi per l´instaurazione di un regime fondato sulla sharia. L´appello è contenuto in un messaggio apparso su diversi siti filo-integralistici, ed è stato intercettato dagli specialisti di “Site”, gruppo di monitoraggio anti-terrorismo on-line con sede negli Stati Uniti. Nel messaggio si afferma che in Egitto «si è aperto il mercato della guerra santa». Ma i Fratelli musulmani, presunta sponda naturale dei terroristi, si chiamano fuori. Non solo dalla jihad, che assicurano non far parte del loro programma, ma anche dalla competizione politica. «Non presenteremo alcun un candidato per la presidenza», ha ribadito anche ieri Mohamed Moursi, alto esponente del movimento. 
Mentre la Casa Bianca esorta «i militari a continuare a dare prova di moderazione» e critica l´Egitto per non aver ancora raggiunto la «soglia minima delle riforme» richiesta dal popolo e chiede sia fatto di più, il ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Aboul Gheit replica risentito: «A parte il fatto che abbiamo appena iniziato, questa ha tutta l´aria di essere un´ingerenza».

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