Quello che sta succedendo in Nord Africa e in Medio Oriente è una ribellione diffusa grazie anche ai giovani ed è simile ad altri episodi della storia, dal 1848 al 1989. 
Le sollevazioni sono una malattia infettiva dei giovani. Che hanno una tendenza alla prossimità , dalla quale in età  matura si cerca di stare alla larga. 
Nelle sommosse ci sono le primavere e gli autunni. Ma quelle più effettive sono anche le più eccentriche e imprevedibili 
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Rivoluzioni il virus dei giovani

Quello che sta succedendo in Nord Africa e in Medio Oriente è una ribellione diffusa grazie anche ai giovani ed è simile ad altri episodi della storia, dal 1848 al 1989. 
Le sollevazioni sono una malattia infettiva dei giovani. Che hanno una tendenza alla prossimità , dalla quale in età  matura si cerca di stare alla larga. 
Nelle sommosse ci sono le primavere e gli autunni. Ma quelle più effettive sono anche le più eccentriche e imprevedibili 

Quello che sta succedendo in Nord Africa e in Medio Oriente è una ribellione diffusa grazie anche ai giovani ed è simile ad altri episodi della storia, dal 1848 al 1989. 
Le sollevazioni sono una malattia infettiva dei giovani. Che hanno una tendenza alla prossimità , dalla quale in età  matura si cerca di stare alla larga. 
Nelle sommosse ci sono le primavere e gli autunni. Ma quelle più effettive sono anche le più eccentriche e imprevedibili 

La rivoluzione è una malattia della gioventù. Più esattamente, un´infezione della gioventù e di altre classi sociali losche, una malattia infettiva. Quando scoppia, tende a propagarsi in forma di epidemia. Soprattutto i giovani hanno una tendenza alla prossimità e alla confidenza, dalle quali nell´età matura si rifugge, per paura di smarrire la propria individualità e per l´orrore di scoprirsi troppo simili agli altri.I giovani sono diversi fra loro, perché su loro non si è ancora chiuso un destino, dunque sono contenti di somigliarsi. L´aggettivo “contagioso” suona loro lusinghiero – un´allegria contagiosa, una contagiosa voglia di libertà – mentre spaventa gli uomini fatti, che si lavano continuamente le mani e curano meticolosamente le recinzioni, a costo di non accorgersi che non c´è più niente da recintare. Le rivoluzioni hanno le loro primavere e i loro autunni, ma i vecchi del potere ne sentono in ogni stagione il fiato sul collo: il potere è una permanente profilassi delle rivoluzioni possibili, innumerevoli, perché le rivoluzioni più effettive sono anche le più eccentriche. Come la rivoluzione libica, che quasi nessuno ha voluto prevedere – Gheddafi forse, perché è pazzo e perché è criminale. Affare del potere è arginare il contagio rivoluzionario drizzando un cordone sanitario. La messa a punto del cordone sanitario è attribuita al dottor Proust padre, rispetto al colera del 1866, ma l´idea politico-militare è praticata da sempre e, per restare all´età moderna, attorno alla Francia del 1789, all´Europa del 1848, alla Russia del 1917, a mezzo mondo del 1968, all´Europa del Centro e dell´Est del 1989, e ora al Maghreb e al Vicino oriente, le cui scintille sprizzano fino al Pakistan, il vulcano più micidiale, e alla Cina, colossale impero senza imperatore. Poiché le rivoluzioni dal basso sono contagiose, sono altrettanto vaste e deliberatamente epidemiche le controrivoluzioni dall´alto, che a volte le prevengono, altre volte le prendono a pretesto. 
Un modo di sventare le rivoluzioni, o di dirottarle quando avvengano, è di contraffarle: per esempio, chiamandole Colpi di Stato. A volte il dilemma è autentico, come nel caso della differenza fra il febbraio e l´ottobre nella Russia del 1917. Altre volte rivoluzione e colpo di Stato sono abbastanza distanti, come il 14 luglio della Bastiglia dal 18 brumaio di Napoleone. Oggi per la Tunisia e l´Egitto e i prossimi birilli a cadere, il nome di Colpo di Stato usurpa la verità. Poiché la cosa bella delle rivoluzioni sono le rivoluzioni stesse, e la cosa peggiore, di norma, il loro indomani – la differenza che passa fra il sabato e il lunedì del villaggio – ogni volta di nuovo si è tentati di invalidare la speranza rivoluzionaria con la diagnosi infausta sul suo esito. “Come nell´Iran dello scià, e poi è venuto il khomeinismo”… 
Le rivoluzioni non sono alberi condannati in anticipo dai loro frutti, salvo fare un´enorme ingiustizia ai protagonisti ogni volta nuovi. Il Colpo dei militari, o la soperchieria dei fondamentalisti organizzati, o qualunque infame esito postumo, non inficia l´anelito a libertà e giustizia che appare improvvisamente perseguibile e spinge i giovani all´emulazione, al più alto costo. L´argine elevato contro l´infezione rivoluzionaria è una misura della malafede o dell´avarizia di chi vive del privilegio. Tanto più di fronte a un´epidemia come questa, che rovescia una esausta storia di rivoluzionari senza popolo, in un popolo insorto senza rivoluzionari. Al contrario che nelle effimere “repubbliche sorelle” del giacobinismo 1796-´99, c´è qui il frutto del legame fra demografia e gusto di libertà – e telefoni cellulari e social network, va bene. Anche il contagio del 1848 e quello, poco meno che planetario, del 1968, furono affare di giovani e, soprattutto il secondo, di una classe mista di ragazze e ragazzi. Allora, c´era un nomadismo fisico, si andava là dove fischiava il vento – Curtatone, la Venezia di Manin, la Repubblica romana del ´49; e i concerti e il Quartiere Latino e la Praga di Jan Palach. Il 1989 fu altra cosa, fu la spinta finale che fece crollare un edificio mostruoso e minato, e autorizzò finalmente la gente a mettersi in strada e andare verso le vetrine illuminate. La gente ne aveva fatte tante, di rivolte sanguinosamente pagate (le rivoluzioni schiacciate nel sangue, come in Ungheria 1956, per castigo si chiamano rivolte), e aveva votato tanto “coi piedi”. 
Epperò non abbiamo voluto riconoscere che stavano votando coi piedi anche quelli che arrivavano da noi dall´altra sponda del Mediterraneo, rifiutati come banditi o accattoni. Ora, abbiamo tanta fretta di gridare all´arme per i profughi che minacciano di arrivare dal sangue della Libia da non ricordarci nemmeno di maledire i massacri; e da non pensare che niente può ridurre l´emigrazione della paura e della povertà come una rivoluzione riuscita. Ma siamo ancora al contagio. Vecchia storia: “Fare come in Francia”, “Faremo come la Russia”… A Pechino, temono che la piazza Tahrir riporti alla memoria Tiananmen, e che si voglia “Fare come l´Egitto”. I professionisti arrivano, dopo che le rivoluzioni sono esplose, militari o burocrati o arruffapopolo. Ma per ora siamo ancora al bello, o alla vigilia. Dipende anche da noi.

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