Pane nostrum, intervista a Predrag Matvejevic

«Ora è d’obbligo l’ottimismo»: intervista a Predrag Matvejevic, autore di «Breviario mediterraneo» e di «Pane nostro». Lo scrittore «jugoslavo» – così ama ancora definirsi – ha anticipato, in modo profetico, l’immaginario culturale profondo delle rivolte sociali in corso sull’altra sponda in tutto il Medio Oriente

«Ora è d’obbligo l’ottimismo»: intervista a Predrag Matvejevic, autore di «Breviario mediterraneo» e di «Pane nostro». Lo scrittore «jugoslavo» – così ama ancora definirsi – ha anticipato, in modo profetico, l’immaginario culturale profondo delle rivolte sociali in corso sull’altra sponda in tutto il Medio Oriente

Di fronte alle rivolte sociali in tutto il Medio Oriente, iniziate con la lotta contro l’aumento del prezzo del pane, abbiamo rivolto alcune domande allo scrittore Predrag Matvejevic.
Sulle rive del Mediterraneo, dalla Mesopotamia alle tavole del mondo intero, il pane è stato il sigillo della cultura. Oggi il Mediterraneo e il pane, sono al centro dei recenti avvenimenti. Il tuo nuovo libro «Pane Nostro» (uscito recentemente in Italia nei tipi di Garzanti) sembra essere stato profetico.
C’è una coincidenza, forse anche da me poco attesa. Nel mio ultimo libro, cito fra l’altro le «rivolte per il pane», e in Tunisia i cittadini, soprattutto giovani, insorti contro la dittatura del regime di Ben Ali, hanno proclamato una vera «rivolta per il pane». Il pane è stato spesso un simbolo delle rivendicazioni più energiche e militanti. Si potrebbero riportare tanti altri casi. Ricordiamoci I promessi sposi di Manzoni e il momento in cui la situazione «giunse ad una rivolta per le strade» e gli affamati insorti cominciarono a gridare «Pane, Pane».
Il pane come essenza del nutrimento e della condivisione, filo conduttore della storia umana, svolge una sua propria rappresentazione per mezzo degli uomini, soprattutto quando è assente dalla scena: manca dalla tavola.
Il pane è stato in varie occasioni un particolare slogan di protesta, forse l’unico che non abbia mai tradito. Nella lotta per il pane, diceva l’anarchico russo Kropotkin dal suo esilio in Ginevra, «il bisogno deve precedere il dovere, la questione del pane è più importante di tutte le altre». I processi iniziati nella Tunisia, esplosi con fragore in Egitto e che si svolgono adesso in vari paesi di Magreb e oltre le sponde magrebine, cambiano la storia presente. Non sappiamo dove potrà fermarsi, come e quando. Non c’è dubbio, si tratta del più importante evento storico dopo la caduta del muro di Berlino del 1989, e la dissoluzione dell’Unione sovietica e della cosiddetta «Europa dell’Est». Avrà di sicuro conseguenze di lunga durata.
Il nostro mare è attraversato da fresche correnti di libertà che provengono da Sud, ti sembra che il presupposto concettuale dello scontro di civiltà dimostri la sua incongruenza?
Incongruente sì, ma fortemente motivato e giustificato dal nostro egoismo. Tanti Paesi, non solo europei, sono presi in contropiede. Una vera politica mediterranea non è mai esistita sulle sponde del Mediterraneo. L’Unione europea e i membri che la compongono in questo momento possono solo fronteggiare l’emergenza. Questo vale soprattutto e in primo luogo attraverso un atteggiamento razionale di fronte agli sbarchi quotidiani. La politica dei soli «respingimenti in mare» sarebbe più che mai tragica e demenziale. D’altra parte, un solo paese, senza l’aiuto internazionale, almeno quello dell’Unione Europea, non può fare granché.
Cosa pensa dell’impegno dell’Italia nel fronteggiare questa situazione «mediterranea»?
Dobbiamo fare alcuni passi indietro per definire non solo la situazione presente, ma soprattutto per cercare le soluzioni nuove e realistiche. La mancanza delle politiche mediterranee – politiche definite e proseguite dai fatti – caratterizzava finora quasi tutte le nostre sponde. Ho scritto tante volte su questa mancanza e la passività che essa fa nascere e sostiene.
Come vede l’autore di «Breviario mediterraneo» questo fenomeno da un punto di osservazione privilegiato come l’Italia, paese in cui hai vissuto per 14 anni?
Vi sono presenti da tempo varie contraddizioni. Da una parte, l’Italia è un promontorio dell’Europa sul Mediterraneo, un paese completamente lambito dal mare nostrum, con un passato ed una storia fortemente caratterizzati dalla presenza marittima; una civiltà di cui l’arte, più che altrove sul continente europeo, riflette la luce del Sud. Dall’altra parte, lo Stato italiano e i vari suoi governi sono da tanto tempo privi di una visione mediterranea coerente; si persegue una politica molto più rivolta all’entroterra continentale che alle proprie sponde o a quelle vicine. Difatti, siamo di fronte ad un Mediterraneo che trascura la sua propria «mediterraneità». L’Italia deve ricercare soluzioni nuove e realistiche.
Per quanto «nostrum» e molto più calmo di altri mari, il Mediterraneo ancor prima delle attuali rivolte non era rassicurante. Avremo la volontà e la capacità di modificarne il suo «immaginario collettivo».
La sponda settentrionale presentava, e presenta ancora, un ritardo rispetto al suo retroterra europeo. L’Unione europea si costituiva come un’Europa separata dalla sua «culla». Le decisioni relative alla sorte o alla «costruzione» del Mediterraneo venivano prese al di fuori di esso o senza di esso: ciò generava frustrazioni e fantasmi. Già da parecchio tempo si profilava all’orizzonte un pessimismo storico, un «crepuscolarismo» letterario. Abbiamo assistito sulle diverse sponde agli spettacoli poco incoraggianti: degrado ambientale, inquinamenti sordidi, iniziative selvagge, movimenti demografici mal controllati, corruzione nel senso letterale o figurato del termine, localismi, regionalismi e chissà quanti altri «ismi» ancora. Le nozioni di scambio e di solidarietà, di coesione e di «partenariato» rimanevano pii desideri. Il Mediterraneo si presentava, non soltanto nella nostra epoca, come uno stato di cose che non riusciva a diventare un progetto unito. Un vasto anfiteatro che vedeva per tanto tempo sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi attori sembravano in varie occasioni ben conosciuti, banali, prevedibili.
Rossana Rossanda conclude un suo intervento sul Manifesto del 30-1-2011 sugli avvenimenti in atto come fossero «un respiro del mondo e danno voglia di respirare anche noi, che con la democrazia, il coraggio sembriamo aver perduto».
Occorre organizzare un «pronto soccorso» internazionale. Un nuovo dialogo nella cornice mediterranea sarà necessario, occorrerebbe definirlo e stimolarlo. Anche nella nostra parte del Mediterraneo occorre ripensare le nozioni superate di periferia e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità. La tendenza a confondere la rappresentazione della realtà con la realtà stessa non da mai i risultati scontati: l’immagine del Mediterraneo e il Mediterraneo reale non s’identificano affatto. Un’identità dell’essere, amplificandosi, eclissa o respinge un’identità del fare, mal definita o finora poco efficiente.
Possiamo dire che forse solo ora si compie il lungo processo della fine del colonialismo e che prima o poi, i popoli conquistano la libertà?
Mai come in questo momento l’ottimismo è d’obbligo. Predrag Matvejevic è nato a Mostar (Bosnia-Erzegovina) da madre croata e padre russo. Ha insegnato letteratura francese all’università di Zagabria e letterature comparate alla Sorbona di Parigi. Nella capitale francese ha vissuto dal 1991 al 1994, dopo aver abbandonato la ex Jugoslavia all’inizio della guerra, scegliendo una posizione «tra asilo ed esilio». Dal 1994 è stato professore ordinario di slavistica all’Università la Sapienza di Roma, dove ha lungamente vissuto. Da alcuni anni è tornato a vivere a Zagabria, dove lo scorso anno ha subito un processo e una condanna per il suo saggio contro i «Talebani cristiani» nel quale denuncia le responsabilità degli «integralisti cristiani» nelle guerre balcaniche. Tra le sue opere Garzanti ha pubblicato Breviario mediterraneo (1991), Epistolario dell’altra Europa (1992), Mondo ex (1996), Il Mediterraneo e l’Europa. Lezioni al Collège de France (1998), I signori della guerra (1999). E nel 2010 «Pane nostro», vero e proprio scenario culturale delle rivolte in corso in tutto il Mediterraneo.

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