NEW YORK – Crimini e misfatti. Il Consiglio di sicurezza dell´Onu accusa Muammar Gheddafi di crimini contro l´umanità e porta la Libia davanti alla Corte internazionale dell´Aia. Il governo di Barack Obama giustifica la lentezza della sua azione rievocando il fantasma degli ostaggi nell´Iran del ‘79. E Hillary Clinton – che oggi incontrerà i leader europei al Consiglio per i diritti umani dell´Onu di Ginevra – annuncia che gli Stati Uniti stanno aprendo un canale di comunicazione con l´opposizione che lotta per la cacciata del dittatore: rischiando di offrire al tiranno il destro per l´ennesima tiritera sulle ingerenze straniere di una rivoluzione nata invece tutta in patria.
I dispacci da Tripoli – scrive il Washington Post – avevano avvertito Obama che «certi messaggi in arrivo dagli Usa avrebbero potuto mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini americani». Ci vorrebbe WikiLeasks per scoprire se il retroscena serva a coprire la rabbia di Human Rights Watch e degli osservatori più critici per la lentezza della reazione Usa. Ma quello che più conta – adesso che gli americani in pericolo stanno rientrando – è il cambio di passo dell´amministrazione. Con la condanna del Colonnello, l´invito a lasciare e l´immediato dispiego delle sanzioni. «Una svolta» dice una delle più strette collaboratrici del presidente: quella Samantha Power che da giornalista aveva vinto un Pulitzer proprio per la denuncia dell´inazione Usa durante il genocidio del Ruanda.
Svanito l´incubo-Iran gli Usa stavolta si sono invece fatti sentire eccome. Anche nel Consiglio di sicurezza dell´Onu. Dove proprio l´ambasciatrice Susan Rice ha fatto il possibile per arrivare a quello straordinario e inedito 15 a zero con cui le sanzioni (dal blocco dei beni ai divieti di espatrio per il leader del regime) sono state accompagnate dalla denuncia alla corte dell´Aja. Ottenendo così quella durissima risoluzione votata sabato notte con il sì per niente scontato di Libano, India e Cina (i massacratori di Tienanmen che condannano il massacratore di Tripoli). E soprattutto con l´ok di Unione Africana e Lega Araba: timorose di introdurre un precedente che prima o poi potrebbe essere usato contro uno degli stati membri – non tutti specchio di democrazia.
La strada delle sanzioni e della denuncia per crimini dell´umanità sarebbe insomma la «terza via» tra l´intervento militare e l´inazione che gli Usa – dice sempre la Power – avrebbero finalmente trovato. Anche l´attendismo americano portò il mondo a tentennare mentre in Ruanda si compiva quel genocidio da 800mila morti: un assordante silenzio su cui Bill Clinton fece autocritica anni dopo. Ma adesso?
La Corte dell´Aja – introdotta nel 1998 – finora ha firmato una sola condanna: quella nel 2005 del presidente sudanese Omar Hassan al Bashir per i crimini nel Darfur. E naturalmente Gheddafi già ringhia («voto senza valore, la situazione è tranquilla») contro la decisione dell´Onu dal significato eminentemente politico: ci vorranno mesi per l´istruttoria e la situazione in Libia cambia di ora in ora. Eppure la risoluzione delle Nazioni Unite non prevede quell´opzione militare che ancora ieri Hillary Clinton sembrava non escludere parlando di «tutte le possibilità aperte». A cominciare da quella no fly zone che impedirebbe agli aerei del Colonnello di bombardare il suo stesso popolo.
La verità è che lo scacco in Iran e i genocidi africani non sono gli unici fantasmi a tormentare Washington. Dove nessuno – racconta il New York Times – è capace di immaginare cosa potrà accadere dopo la caduta (e chissà a quale costo di sangue) di Gheddafi. Con la paura di un pantano simile a quello afgano. Con l´incubo di una tribalizzazione della lotta come in Somalia. Tutti scenari che evocano quello spettro di Al Qaeda che da anni paralizza l´immaginario strategico americano. E che proprio il Colonnello – contro cui il mondo non sa ancora che armi usare – ha sfruttato finora per giustificare i suoi deliri.
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