Da sempre il Continente nero si è affidato a capi feroci e senza scrupoli Il “lato buio del mondo” come scrisse Conrad
Da sempre il Continente nero si è affidato a capi feroci e senza scrupoli Il “lato buio del mondo” come scrisse Conrad
Tutti i “liberatori” megalomani e genocidi, cattolici o musulmani di nome, che da sessant´anni opprimono e torturano quel continente. E lo condannano non soltanto alla spoliazione e ai massacri, ma lo inchiodano a quello stereotipo del lato buio del mondo al quale lo condannò cento anni or sono Joseph Conrad.
Il Gheddafi di questi ultimi giorni, dal “discorso dei topi” con l´ombrello nel bunker di Tripoli all´apparizione sul muro della piazza Verde con in testa una ushanka, il copricapo con i paraorecchi dei carristi russi, è soltanto un altro viaggiatore nella processione dei despoti africani travolti dalle loro stesse allucinazioni e dal potere. Le sue uniformi da operetta dell´orrore nei giorni dell´ossequio estero sembravano quelle che “l´Ultimo re di Scozia, Sua Eccellenza Conquistatore dell´Impero Britannico, dell´Africa in Generale e dell´Uganda in Particolare”, più noto brevemente come Idi Amin, esibiva.
La sua megalomania sfiora quella di Mobutu Sese Seko dello Zaire, il cui titolo ufficiale completo significava “Il guerriero onnipotente che, grazie alla propria inflessibile forza e implacabile volontà, cammina di conquista in conquista lasciando dietro di sé una scia di fuoco”. Gheddafi non lo usa mai, neppure nelle visite ai Paese più ossequiosi, ma anche la denominazione completa e formale della sua carica è altrettanto grottesca: “Fratello Guida della Grande Rivoluzione del Primo Settembre del Popolo Socialista della Jamahiriya Araba della Libia”.
E´ un corteo da inferno dantesco quello dei despoti caduti dopo avere succhiato la ricchezza di un continente che ospita un ottavo della popolazione mondiale e ogni immaginabile risorsa naturale, ma nel quale soltanto due nazioni ai capi opposti della mappa, Libia e Sud Africa superano i 3 mila dollari di reddito medio annuo per abitante. Dopo la grande fuga delle nazioni coloniali europee nelle quali si distinse nel 1960 per cinismo e per rapacità il Belgio lasciando il Congo senza un solo medico, la sequenza di rivolte succedute da repressioni poi da regimi e da nuove ribellioni è stata un ciclo ininterrotto di sangue. L´Africa si muove secondo le maree del “grande gioco” fra Est e Ovest, fra Urss e Usa, ora fra Cina e Occidente. Perenne terreno per tutti gli “scontri di civiltà” combattuti nel nome e per conto di altri.
Della qualità dei capi banda che si succedevano al timone di nazioni disegnate sulla carta del continente ancora con la penna insensante della spartizioni europee ottocentesche non importava nulla a nessuno. Se sul Congo divenuto Zaire regnava Mobutu Sese Seko corroso dalla sifilide, il suo essere «dalla nostra parte» bastava. Anche se, dopo avere investito dieci milioni di dollari per ospitare il match fra Mohammed Ali e George Foreman a Kinshasa, quando fu costretto ad abbandonare il potere si portò in esilio quasi 10 miliardi di dollari. Morirà, ufficialmente di cancro alla prostata, in Marocco nel 1997, dopo avere regalato al vocabolario una nuova espressione: la cleptocrazia.
Gli orrori compiuti dal “Negus Rosso”, Haile Mariam Menghistu, sulla sua Etiopia per tenere il paese sotto controllo e allinearlo con il “campo socialista”, indignavano soltanto il campo avverso, così come sembrava accettabile, nel risiko, il “compagno” Siad Barre in Somalia. Delle deportazioni, delle torture, degli stupri, delle esecuzioni sommarie, delle diecine di migliaia di vittime innocenti in quella Somalia destinata a disintegrarsi e diventare oggi covo di pirati, importava assai meno della posizione strategia cruciale di quel Paese, allo sbocco del Mar Rosso. Quando fu costretto definitivamente ad abbandonare il potere, il debito della Somalia equivaleva al ricavo di un secolo di esportazione di banane, il solo prodotto somalo esitabile sul mercato internazionale. Morirà, dopo essere stato respinto dal Kenya dove aveva tentato di rifugiarsi, di infarto, a Lagos, in Nigeria.
Ma nessuno di loro, non Idi Amin, del quale fu detto che i cadaveri delle sue vittime gettati nel Nilo avevano ingorgato le chiuse, morto di malattia nel più sontuoso ospedale di Jeddah, in Arabia Saudita, il “King Faisal”, non Jean Bedél Bokassa, allievo dei Gesuiti, signore della Repubblica Centroafricana e incriminato, fra altri reati, di “cannibalismo” sarà mai condannato o passato per le armi. Bokassa, grande sodale e amico di Gheddafi, e protetto da quella Francia per la quale aveva combattuto da giovane, morirà a casa propria, nella stessa nazione della quale si era proclamato non presidente, non guida, non re, ma addirittura “Imperatore”, rilasciando interviste. In una di esse arrivò a sostenere di essere stato incaricato segretamente dal Papa di «evangelizzare l´Africa», ma di essere poi stato tradito e abbandonato.
Il solo che avrebbe ammesso la propria responsabilità di fronte ai tribunale Internazionali fu il presidente del Ruanda, Jean Kambanda. Ma dopo la condanna all´ergastolo, che sta scontando in un carcere del Mali per gli almeno 800 mila Tutsi uccisi in cento giorni di orgia genocida nel 1994, dirà di «non sentirsi in colpa». Neppure la fine della Guerra Fredda, prontamente rimpiazzata dalla guerra segreta per succhiare le risorse africane fermerà la processione dell´orrore. Il regime militare nel Sudan e del dittatore Al Bashir, il responsabile del genocidio nel Darfur, è notoriamente puntellato da Pechino, che ha ottenuto i diritti di sfruttamento sulle sue riserve di petrolio. E per la processione delle anime perdute si sta progressivamente candidando quel Robert Mugabe dello Zimbabwe, che aveva cominciato la propria avventura politica sul tracciato promettente di Nelson Mandela in Sudafrica, al punto di ricevere il titolo di “Cavaliere Comandante dell´Impero Britannico” dalla Regina e una laurea honoris causa dall´Università di Edimburgo. E la sta finendo come despota.
Se “il fratello guida Gheddafi” dovesse pagare con la propria vita i 42 anni di dominio sulla Libia, o se fosse mai trascinato, come il presidente del Ruanda Kambanda, davanti a un giudice, sarebbe l´eccezione, non la regola. Potrebbe avere avuto, anche lui, troppi complici nel mondo che si proclama civile, per essere abbandonato alle acque di quel fiume oscuro.
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