Viva le manifestazioni che sono l’espressione collettiva di un pensiero e di un sentire, garantita costituzionalmente. E ben vengano. Sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: si pensa in prima persona o non si pensa. Le masse fatte di persone che non pensano in prima persona, sono cieche o manipolate. Sto citando la filosofa Simone Weil. E pensare non è reagire al detto di altri con un sì o con un no, ma situarsi con il proprio desiderio e interesse nei confronti di quello che accade.
Viva le manifestazioni che sono l’espressione collettiva di un pensiero e di un sentire, garantita costituzionalmente. E ben vengano. Sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: si pensa in prima persona o non si pensa. Le masse fatte di persone che non pensano in prima persona, sono cieche o manipolate. Sto citando la filosofa Simone Weil. E pensare non è reagire al detto di altri con un sì o con un no, ma situarsi con il proprio desiderio e interesse nei confronti di quello che accade.
Attenzione anche al fascino dei grandi numeri cui ci siamo abituati con la Rete. È abbastanza ovvio che i grandi numeri non rendono giusta una posizione. Ma rendiamoci conto di una cosa meno ovvia e cioè che firmare o manifestare in massa non può rimpiazzare che si faccia in prima persona tutto quello che si può fare nei contesti in cui ci troviamo a vivere.
Qui spunta un primo interrogativo sulla manifestazione del 13. Secondo me, c’è il pericolo che la manifestazione venga usata da quelli che a suo tempo non hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare. Che cosa? Il lavoro proprio di una classe dirigente, che era d’intercettare e bloccare un uomo come Berlusconi che non era adatto agli uffici politici, neanche dal punto di vista strettamente legale. Siamo in una democrazia costituzionale e rappresentativa: la piazza non dovrebbe essere necessaria quando si tratta di scegliere e cambiare gli uomini al governo. Se la piazza è diventata necessaria, vuol dire che qualcuno o molti non hanno fatto quello che dovevano fare quando sarebbe stato efficace, ed è esattamente così che è andata.
A questo punto della faccenda si fa appello alle donne. Che senso ha? Come altre, io ci ho visto una strumentalizzazione dei loro sentimenti. Il sentire femminile, per me, è una cosa profonda e delicata che attiene alla vita del corpo sociale. Comunemente le donne, e io sono una di loro, detestano la prostituzione. Ed è su questo sentire che, dopo l’ultimo scandalo berlusconiano, si è fatto leva: gesto criticabile perché il nostro sentire immediato, in sé giusto, non può tradursi in atti politici senza le necessarie mediazioni. Queste sono mancate. Le critiche avanzate da alcune femministe in proposito sono state accolte, per fortuna. Andando avanti in questa direzione, deve diventare chiaro che lo scambio tra soldi e sesso, sesso e potere è una pratica diffusa tra gli uomini, compresi i politici sia di destra sia di sinistra. E che il capo del governo, da questo punto di vista, non è un’eccezione. Grazie a quella presa di coscienza accanto alle donne scenderanno in piazza anche uomini a manifestare la loro distanza da un sessismo che ancora imbeve di sé la cultura politica e non soltanto.
Ma questa è anche la ragione per cui bisogna insistere con le critiche. Che una decida di partecipare oppure di stare altrove e altrimenti, in ogni caso la discussione in corso tra donne significa non consegnarci ciecamente a operazioni politiche nelle mani di uomini i cui orizzonti non oltrepassano la bottega del politico vecchia maniera. La forza non vista ma reale del femminismo italiano sta trasformando il momento presente in un confronto che fa luce anche sulla sua ricchezza di pensiero. L’essere altrove e altrimenti, è una figura fondante del femminismo: marca la differenza femminile e opera una rottura nei confronti di cose già decise da altri. Ma non meno importante è anche il desiderio di esserci nel mondo e di contare con tutte le proprie qualità. Qui tocchiamo un altro punto delicato del dibattito presente, per me il più delicato. Ascoltando e leggendo, mi sono resa conto che partecipare alla manifestazione significa, per molte, sentire di esserci e di essere attive. Agli occhi di queste, molte delle quali giovani, una come me che critica e non aderisce di slancio, appare fredda e distaccata. Una simile impressione mi dispiace e mi fa torto. Ma resisto alla voglia di spiegare quanto, come e dove intensamente io ci sono anche in questa congiuntura, preferisco affrontare questo nodo del protagonismo femminile che sembra dividerci tra donne.
La rivolta femminile degli anni Settanta è nota per le sue manifestazioni pubbliche ma il suo aspetto non appariscente è stato e rimane molto più efficace. Questo aspetto riguarda l’esserci in prima persona con il proprio desiderio, non delegare niente di essenziale ad altri ma creare relazioni di fiducia e trasformare la propria esistenza in una libera impresa. Insomma, dare vita a un’economia di mercato non dominata dal profitto ma dalla forza dei desideri. Una manifestazione come quella di domenica prossima entra in questo gioco? Ci vai, per te. Non andarci contro qualcuno per conto di altri.
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