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L’Algeria In piazza contro Bouteflika: “Vattene”

Scontri con la polizia, centinaia di arresti. Tensione anche in Yemen. Quei generali fedeli al raìs chiamati a gestire il cambiamento

Scontri con la polizia, centinaia di arresti. Tensione anche in Yemen. Quei generali fedeli al raìs chiamati a gestire il cambiamento

 Sotto a chi tocca. Se Tunisia ed Egitto sono riuscite a rompere il muro della paura, ora iniziano a provarci anche Yemen ed Algeria. Viale Bourguiba e piazza Tahrir insegnano che osare si può. Corre veloce la storia sul web. E così poche ore dopo la resa di Hosni Mubarak, si aprono altri due fronti in un Medio Oriente sempre più determinato costi quel che costi a voltare pagina. 

Giornata difficile quella di ieri, soprattutto ad Algeri. Perché se a Sana´a, la capitale dello Yemen, migliaia di giovani si sono limitati a scandire slogan contro il presidente, Ali Abdallah Saleh ma senza arrivare allo scontro fisico con le forze dell´ordine, nella capitale algerina, il cui centro era praticamente blindato per un diametro di oltre due chilometri, è stata battaglia vera con decine di feriti e centinaia di arresti. Trentamila agenti per tenere testa a poco più di duemila persone, giovani soprattutto. Algeri, insomma, non deve essere un´altra Cairo. E´ questo l´imperativo del governo. Bouteflika, il presidente, non ha alcuna intenzione che piazza Primo maggio si trasformi in una seconda Tahrir square. 
Gli organizzatori della protesta di ieri hanno riferito di violente cariche della polizia. I feriti sarebbero decine, respinti a colpi di manganello di legno, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua tutte le volte che hanno provato a sfondare l´impenetrabile muraglia di uomini e mezzi della forze speciali. Gli arresti sarebbero un migliaio, ma il ministero degli Interni minimizza e parla solo di 14 fermi, e quasi tutti immediatamente rilasciati. Pezzi d´opposizione, qualche sindacato e gruppi della società civile hanno quindi deciso di sfidare il divieto di cortei nella capitale algerina, dettato dallo Stato di emergenza, in vigore dal 2001. Tra i manifestanti “in veste di osservatore” anche il cofondatore del Fronte islamico di salvezza (Fis) Ali Belhadj, e il leader del “Rassemblement pour la culture et la democratie” (Rcd), Said Said. Secondo il quotidiano algerino El Watan, i promotori della protesta dovrebbero tornare a riunirsi anche oggi per decidere le nuove strategie di lotta. Già prima dell´inizio della manifestazione, convocata per le ore 11 di ieri in piazza Primo maggio, in pieno centro cittadino, si erano registrati tafferugli tra gruppi di dimostranti e polizia. «Il governo ha schierato un massa enorme di forze dell´ordine a fronte di una protesta pacifica» ha denunciato uno degli organizzatori del corteo, Mustafa Bouchachi, leader della Lega dei diritti umani. Analoghe manifestazioni si sono svolte anche in altre città algerine come Orano e in alcuni villaggi della Cabilia. 
Abdelaziz Bouteflika, il capo dello Stato, è al potere dal 1999 e il 10 aprile del 2009 è stato rieletto per la terza volta alla presidenza con il 90,24 per cento dei voti, numeri che vanno ben al di là del “buongusto”. Quello per cui Bouteflika – la cui passione per i capi firmati è arcinota – in alcuni ambienti viene ancora definito come il “diplomatico dandy”. 
Se la domanda è: può l´Algeria di Bouteflika capitolare in un paio di settimane come l´Egitto di Mubarak, la risposta degli esperti è un no perentorio. Anche se il contesto politico e sociale «è esplosivo», la protesta potrebbe durare più a lungo che altrove. E il regime sembra in grado di gestire anche un lungo assedio. Ne è convinto Luis Martinez, ricercatore del Centro studi e ricerche internazionali di Parigi “Sciences Po”. «L´Algeria – sostiene Martinez – potrebbe certamente sopportare anche per due o tre mesi una rivolta sociale. Ha purtroppo una grande esperienza in materia e saprà farlo, oltre tutto ne ha i mezzi». La contrapposizione quindi potrebbe durare più a lungo che altrove. L´Algeria infatti non dipende dall´industria turistica come l´Egitto e il suo sistema economico non si basa sulla rendita del canale di Suez né sugli aiuti degli Stati Uniti all´esercito. Senza contare che avendo l´Algeria un´entrata di 50 miliardi di dollari all´anno dalla vendita di gas e petrolio, sembra immune anche a pressioni internazionali.

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