Il governo dell’India ha deciso di autorizzare la costruzione di una grande acciaieria sulla costa del golfo del Bengala, in uno stato noto per i suoi grandi giacimenti minerari e per la povertà del suo sviluppo sociale. Un mega-progetto: il gruppo sudcoreano Posco, quarta azienda mondiale della siderurgia, ci metterà 12 miliardi di dollari.
Il governo dell’India ha deciso di autorizzare la costruzione di una grande acciaieria sulla costa del golfo del Bengala, in uno stato noto per i suoi grandi giacimenti minerari e per la povertà del suo sviluppo sociale. Un mega-progetto: il gruppo sudcoreano Posco, quarta azienda mondiale della siderurgia, ci metterà 12 miliardi di dollari.
«Infine il più grande investimento diretto straniero ha avuto il via libera», ha scritto il Times of India: è salva «la reputazione del paese come destinazione per mega investimenti». La notizia è rimbalzata sulla stampa finanziaria internazionale – per Bloomberg News «è un incoraggiamento per le aziende, nazionali e straniere, allarmate dalla linea dura tenuta dal governo in materia ambientale». Di rado un progetto industriale aveva suscitato tanta attenzione. E non è solo per le dimensioni dell’investimento o la sua valenza economica e strategica (sembra che il primo ministro Manmohan Singh abbia premuto personalmente per mandare avanti l’affare). Il punto è quel progetto è fermo da ben cinque anni, bloccato dall’opposizione degli abitanti della zona designata: venticinquemila persone che vivono di agricoltura e non vogliono perdere la terra a favore della nuova industria (si veda in questa pagina). Ed è qiesto che rende il caso Posco emblematico di decine, centinaia di conflitti simili in tutta l’India – ricorda il caso di Singur, in Bengala occidentale, la rivolta dei villaggi che hanno rifiutato di cedere la terra alla fabbrica in cui Tata, l’azienda automobilistica partner di Fiat, avrebbe costruito la sua nuova utilitaria. L’India è una delle «storie di successo» dell’economia globalizzata. Da quasi un decennio il Prodotto interno lordo cresce oltre l’8% annuo; superata la recessione mondiale con appena una piccola flessione, il 2010 si è chiuso con nuovi record – crescono export, produzione industriale, borsa, mercato immobiliare. E’ la nona destinazione per gli investimenti mondiali. Per il 2011 si fanno previsioni di crescita al 10% – l’India vuole essere riconosciuta come una nuova potenza mondiale. Sempre più spesso però lo sviluppo economico – industrie, miniere, grandi infrastrutture – trova l’opposizione delle popolazioni costrette a sfollare. E questo è il rivescio della «storia di successo». L’economia globale chiede materie prime e l’India ne è ricca: ma la mappa dei giacimenti minerari coincide con la mappa delle foreste, delle popolazioni native («tribali», nel vocabolario indiano), della povertà rurale. Poli industriali spuntano tra le risaie e i delta più fertili. E la spinta a moltiplicare miniere, industrie, centrali energetiche e «zone economiche speciali» si scontra con centinaia di movimenti per la terra, contro le requisizioni, anti-displacement. A volte sulle proteste popolari si inserisce il movimento armato di ispirazione maoista diffuso in quell’ampia regione di montagne e foreste: allora lo scontro cambia valenza. Spesso la presenza del movimento armato, vera o presunta, diventa alibi per reprimere organizzazioni della società civile e movimenti di massa. E’ questo che ha fatto delle acciaierie Posco un caso test. La pressione degli «investitori» è forte. «Quanto amichevole verso gli investitori è l’India?» si chiedeva un mese fa The Economist a proposito del caso Posco. Per aver discusso alcuni investimenti il ministro dell’ambiente Jairam Ramesh è tacciato di «oltranzismo». Lui si difende: io applico le leggi, ci ha detto (vedi in questa pagina). Con sollievo degli «global player», il progetto Posco ora ha il nullaosta ambientale, sebbene con molte condizioni. Ma il conflitto non è chiuso, gli abitanti di quei villaggi sono pronti alle barricate. L’India, ci ha detto il portavoce del movimento contro l’acciaieria Posco, «sta bruciando di migliaia di conflitti».
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