Il vitale antagonismo della democrazia

La crescita del populismo è dovuta all’incapacità  della sinistra di elaborare proposte alternative alla globalizzazione neoliberale. Un’intervista con la studiosa belga, autrice di importanti saggi in cui analizza e propone soluzioni per uscire dalla crisi dei sistemi politici

La crescita del populismo è dovuta all’incapacità  della sinistra di elaborare proposte alternative alla globalizzazione neoliberale. Un’intervista con la studiosa belga, autrice di importanti saggi in cui analizza e propone soluzioni per uscire dalla crisi dei sistemi politici

È ritenuta una delle teoriche più impegnate nell’elaborazione di una concezione radicale della democrazia, anche se Chantal Mouffe preferisce parlare di «democrazia agonistica». Nata in Belgio e docente in Inghilterra, Chantal Mouffe è però insofferente a qualsiasi semplificazione delle riflessione sulla democrazia e stigmatizza tanto la critica alla rappresentanza avanzata dalla sinistra politica che all’apologia della concezione neoliberale dell’agire politico dominante in Europa e negli Stati Uniti. Una tensione intellettuale che emerge nei suoi libri, da quello pubblicato da Bruno Mondadori (Il politico) a quello scritto assieme a Ernesto laclau su Egemonia e strategia socialista (Il melangolo). Una tensione intellettuale che costituisce anche il tratto distintivo della disponibilità mostrata in questa intervista, dopo le lezioni alla terza università romana e al seminario tenuto alla fondazione Basso sempre di Roma.
Lei ha scritto della necessità di sviluppare una democrazia agonistica dove le istituzioni rappresentative convivano con forme di democrazia diretta. Come garantire questa convivenza?
Nei mesi studi sono partita da un senso di insoddisfazione rispetto la teoria politica di sinistra ha sviluppato attorno alla parola chiave «democrazia». Al concetto di rappresentanza ha spesso opposto forme dirette di partecipazione ai processi decisionali. Mi sembrava un approccio non soddisfacente. Così, la mia riflessione si è sviluppata in un’altra direzione, perché ritengo che la democrazia rappresentativa possa convivere con forme di democrazia diretta. Sono tuttavia convinta che alcune critiche alla democrazia rappresentativa colgano il segno, laddove mettono in evidenza che le forme politiche rappresentative non sempre facilitano la partecipazione alla vita pubblica. Allo stesso tempo, però, il pluralismo che caratterizza le società moderne deve trovare il modo per esprimersi. Chi invece sostiene la superiorità della democrazia diretta muove dal presupposto che il popolo sia un’entità omogenea dove sono assenti elementi di antagonismo e di differenze sociali, culturali e di genere. Non è così: il popolo non è mai omogeneo, ci sono differenze sociali, culturali al suo interno.
Il pluralismo così come il conflitto sono parti integranti della lotta politica. Ciò che manca sono quelle forme istituzionali che permettano la partecipazione diretta dei singoli e dei gruppi al processo decisionale, garantendo al tempo stesso il pluralismo. La democrazia agonistica a cui mi riferisco prevede la compresenza di istituzioni rappresentative e istituzione di partecipazione diretta al processo decisionale, perché la lotta politica può essere parlamentare, ma anche extraparlamentare. Un progetto politico di sinistra deve quindi contemplare i due momenti in una relazione dialogica, in modo tale che un momento non esclude l’altro e viceversa.
Quale relazione lei vede tra pervasività dei media e crescita dei movimenti populisti…
Il populismo vuole costruire un popolo. Ma anche i sistemi politici democratici vogliono produrre un popolo. Il problema, allora, è quale tipo di popolo si vuol creare. Certo, se il popolo che un movimento politico vuole creare deve cacciare gli immigrati, aderire a principii d’ordine e d’autorità, siamo di fronte a un popolo di «destra». Se invece è un popolo che aderisce a principii di solidarietà, di tolleranza, di giustizia sociale siamo di fronte a una concezione progressita di popolo. Inoltre, è importante quale nemico del popolo si individua. Si può cioè imporre un lessico xenofobo: allora i nemici sono gli «stranieri» o, come sempre più accade, l’Islam.. Ma se invece il nemico del popolo è individuato nei grandi monopoli, nelle banche e nella globalizzazione neoliberale, possiamo dire che ci troviamo di fronte a una concezione «di sinistra» del popolo.
Fatta questa premessa, non credo che esista un legame di interdipendenza tra la pervasività dei media e la crescita del populismo. Se focalizziamo l’analisi sull’Italia, questa interdipendenza è chiara. Il premier Silvio Berlusconi è spesso considerato un populista ed è anche il proprietario di un grosso polo mediatico. In altri paesi europei questo non sarebbe possibile. Dal mio punto di vista la crescita di partiti xenofobi e populisti è dovuta all’incapacità dei partiti di sinistra, meglio di centrosinistra di avanzare proposte e svolgere discorsi che si discostano da quelli dei partiti moderati e conservatori. Questo provoca una certa omologazione del discorso politico e una crescita dell’astensione dell’elettorato di sinistra nelle consultazioni elettorali. Ci sono anche elettori interessati a progetti politici alternativi alla globalizzazione neoliberale. ma la sinistra fa discorsi poco distinguibili da quelli moderati o conservatori. Inoltre, in molti paesi europei, i partiti socialisti o socialdemocratici vengono percepiti come partiti che esprimono gli interessi della classe media e non della classe operaia o di tutte quelle realtà sociali colpite duramente dalla globalizzazione economica. Il populismo di destra cresce perché chi dovrebbe rappresentare un’alternativa al neoliberalismo rinuncia a sviluppare tale alternativa.
Eppure è indubbio che i mass-media spesso presentano il discorso politico alla stessa stregua di un messaggio pubblicitario….
Potrei obiettare che spesso sono i partiti che presentano il loro discorso come uno slogan pubblicitario. Ho spesso definito questa situazione come postpolitica. Questo avviene perché l’omologazione del discorso politico di sinistra con quello dei partiti conservatori inibisce una vera discussione pubblica. La impoverisce. Spesso sono gli stessi partiti che impacchettano le loro proposte come messaggi pubblicitari, rinunciando all’esercizio di una seria discussione.
Nel Maghreb, le rivolte chiedono libertà e democrazia. Sarebbe interessante capire quale democrazia vogliono….
È difficile immaginarlo. Ironicamente potrei evidenziare il fatto che tutti i commentatori hanno cercato la conferma delle loro tesi elaborate negli anni passati e che con il Maghreb hanno poco a che fare. I neoconservatori hanno subito sostenuto che la cacciata dei dittatori è stata resa possibile dalla «guerra al terrorismo»; Alian Badiou ha scritto che quello che abbiamo visto nelle strade di Tunisi o de Il Cairo è «l’idea comunista in azione». I teorici della moltitudine hanno sottolineato che ci troviamo di fronte a fondamentali forme di autorganizzazione. Io mi limito a porre come centrale il tema su quali istituzioni immaginare dopo la caduta di quei regimi.
Ogni volta che un movimento popolare irrompe nella scena pubblica, emerge anche il problema della sua istituzionalizzazione. A sinistra questo è un tema spinoso. Eppure lo sviluppo di nuove istituzioni è parte integrante di un progetto di trasformazione radicale. In Europa, abbiamo libertà civili, politiche, sociali; il rispetto dei diritti umani è una sorta di carta fondamentale. Eppure molti studiosi parlano delle società europee come società postdemocratiche Da qui la necessità di sviluppare istituzione che favoriscano una nuova democratizzazione delle società europee.
La storia del Maghreb è diversa e non commensurabile a quella europea. Per il momento le rivolte chiedono giustamente libertà. Ma il problema di sviluppare nuove istituzioni che favoriscano la crescita delle democrazia è fondamentale. Saranno istituzioni diverse, più legate alla specificità locali, ma spero che il problema si faccia strada. Per rispondere però alla sua domanda, bisognerebbe capire un altro aspetto finora poco evidente. Quali saranno le proposte di riforma sociale, quali progetti di gestione dell’economia? Temi e domande che se avessero una risposta potrebbero aiutarci meglio a capire quali forme democratiche emergeranno, se emergeranno, dalle rivolte nel Maghreb.

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