"Non dobbiamo intervenire con le armi a Tripoli ma sostenere le zone libere dal regime"
L'Occidente deve smettere di tifare per una transizione controllata e appoggiare questi ragazzi  ">

Il popolo arabo pretende democrazia

“Non dobbiamo intervenire con le armi a Tripoli ma sostenere le zone libere dal regime”
L’Occidente deve smettere di tifare per una transizione controllata e appoggiare questi ragazzi 

“Non dobbiamo intervenire con le armi a Tripoli ma sostenere le zone libere dal regime”
L’Occidente deve smettere di tifare per una transizione controllata e appoggiare questi ragazzi 

ROMA- «È un processo irreversibile. Potrà anche vivere momenti di stop, ma ripartirà: il paragone più plausibile è quello con le rivoluzioni del 1848 in Europa». Il politologo francese Olivier Roy è fra i massimi esperti di Islam in Europa: e fra i pochi che, dal suo studio presso l´istituto universitario europeo di Fiesole, non si sia stupito quando il mondo arabo ha cominciato ad esplodere. Per questo le sue parole sul futuro di questo processo sono fra quelle da ascoltare con attenzione. 
Professor Roy, scontri di piazza in Egitto e in Tunisia, incertezza e combattimenti in Libia: la primavera araba è già finita?
«No, non lo è. Siamo noi che dobbiamo capire cosa intendiamo quando parliamo di “primavera araba”. Questo movimento ha due anime: è una rivolta e una rivoluzione. È una rivolta perché le manifestazioni non erano programmate e non sono ideologiche: non hanno dietro alle spalle leader, né partiti, né agende politiche. Vogliono una sola cosa: la democrazia. Ma è anche una rivoluzione perché vuole cambiare la società dal profondo e perché viene dal mondo reale: dai giovani, dall´oggi». 
Quali sono le conseguenze di questa doppia anima?
«La conseguenza in questa fase è che ci troviamo di fronte a due generazioni con obiettivi diversi, a due culture opposte. In piazza sono scesi nuovi protagonisti: giovani arabi educati e non ideologici. Una generazione post-islamista che chiede cose come “dignità” e “rispetto”. Ma il controllo delle leve del potere, in Tunisia e in Egitto lo hanno vecchi generali, che si ispirano a un´ideologia politica vecchia, tutta legata al concetto di autorità. Per loro lo Stato è potere e ordine: il vecchio dittatore è partito e ora è l´ora della transizione, che deve essere ordinata. Ma i manifestanti non mollano: vogliono la democrazia, ora. E non una transizione indefinita». 
Quindi cosa accadrà?
«Dipende dai Paesi: sono abbastanza ottimista sulla Tunisia, perché la pressione della strada è forte. Meno sull´Egitto, perché il potere dei militari è molto più esteso. La Libia è una storia a parte, e posso solo sperare che l´Occidente non si metta in testa di intervenire militarmente: quello che sta avvenendo in quel Paese è una guerra civile. È giusto mandare aiuti alimentari e fare assistenza nelle zone liberate. Poi ci sono paesi sull´orlo, come lo Yemen. E altri, come l´Arabia Saudita, che hanno abbastanza risorse da distribuire per cercare di evitare che la bolla scoppi».
L´Occidente cosa deve fare?
«Togliersi i paraocchi con cui da 30 anni guarda al mondo arabo: quella paura del nemico Islam, quel modo di vedere ogni movimento in quella zona di mondo come frutto dell´estremismo. È uno schema vecchio, legato alla rivoluzione islamica in Iran: ma attraverso questo schema abbiamo giudicato ogni fenomeno legato a questa zona del mondo, dall´immigrazione alla politica. Oggi è tutto diverso: l´Occidente deve smettere di non credere nei giovani arabi. E deve smettere di tifare per una transizione tranquilla a scapito della democrazia, solo perché, come in Egitto, la transizione è guidata da un esercito pagato dagli Usa. Non ci sarà stabilità solo con la transizione, la stabilità arriverà con la democrazia: la gente vuole democrazia, occorre lavorare per mettere fine alla corruzione e promuovere lo sviluppo economico. Puntare a vere elezioni da cui escano parlamenti rappresentativi, che possano scrivere costituzioni vere».
Non è possibile invece che gli scontri di questi giorni dimostrino che l´Occidente ha ragione? Che i movimenti rivoluzionari siano troppo immaturi per governare il futuro?
«No. Questo è un processo irreversibile. È come il 1848 in Europa. Ci saranno degli stop, dei momenti in cui sembrerà di tornare indietro. Ci saranno reazioni violente: ma il processo che si è messo in moto è ineluttabile e non si fermerà».

 

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