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Hessel conquista l’italia “Sognate un mondo nuovo”

 “Indignatevi!” è appena uscito nel nostro Paese vendendo 25 mila copie in dieci giorni: “Per troppo tempo nessuno ha reagito all’ingiustizia sociale”. “Ero partigiano e il nemico era chiaro. Mi rivolgo ai ragazzi perché non siano conformisti”. “La mia prossima opera si chiama ‘Impegnatevi’ e sto preparando un manifesto con Sen”

 “Indignatevi!” è appena uscito nel nostro Paese vendendo 25 mila copie in dieci giorni: “Per troppo tempo nessuno ha reagito all’ingiustizia sociale”. “Ero partigiano e il nemico era chiaro. Mi rivolgo ai ragazzi perché non siano conformisti”. “La mia prossima opera si chiama ‘Impegnatevi’ e sto preparando un manifesto con Sen”

 PARIGI. «Novantatré anni rappresentano una buona riserva di esperienza per capire come vanno le cose del mondo». Il signore che sta parlando è molto elegante, giacca e cravatta per ricevere l´ospite, un accenno di baciamano. Siede sul divano di pelle nera del salotto di rappresentanza, con il servizio buono tirato fuori dalle ante di vetro e la moglie Christiane, “mon amour”, che prepara il caffè. «Sorpresa? E cosa si aspettava, un pericoloso eversore? Ho solo scritto un libretto dove dico cose di buon senso comune, tutto qui». Quattordicesimo arrondissement, traversa di rue Jean Moulin, l´eroe della Resistenza francese. Nella casa il telefono squilla spesso, ogni volta Stéphane Hessel si alza dal divano per rispondere agli inviti che piovono da ogni parte del mondo. Rifiuta il cellulare, unico vezzo. «Grazie, il periodo è un po´ complicato per me, ma cercherò di venire». Qualcuno chiama per avere un commento sulla primavera dei popoli arabi. «E´ la dimostrazione che siamo agli albori di una nuova società mondiale. Prima la Tunisia, ora l´Egitto, la Libia, domani forse l´Algeria. Prevedo una successione di contestazioni anche in Occidente». Sconosciuto ai più fino a qualche mese fa, Hessel è travolto da un´improvvisa notorietà. Indignatevi, il suo pamphlet uscito in autunno, un milione e mezzo di copie solo in Francia, in corso di traduzione in diciassette paesi, ha già cominciato a scalare le classifiche anche in Italia, tra i primi dieci titoli più venduti, con 25 mila copie in poco più di una settimana (caso rarissimo di bestseller di una piccola casa editrice, visto che lo pubblica add, nata un anno fa).
Sessanta pagine appena. Un manifesto di resistenza civile di cui esiste il seguito ideale, Engagez-vous, impegnatevi!, tra pochi giorni nelle librerie francesi. «Mi davano del nostalgico e invece le mie idee sono assolutamente contemporanee. Come diciamo noi francesi: ho fiutato l´air du temps, l´aria del nostro tempo», gongola Hessel che quando sorride s´illumina come un ragazzino. Ad aver incantato centinaia di migliaia di lettori in Francia è anche la biografia e la vitalità non comune di quest´intellettuale quasi centenario.
Suo padre traduceva Walter Benjamin, sua madre ha condiviso la vita con due uomini, ispirando il personaggio di Catherine in Jules et Jim di Truffaut. Il suo anticonformismo è nei cromosomi?
«Siamo emigrati dalla Germania nel 1925. Avevo solo otto anni ma ero già un piccolo berlinese impertinente. Grazie a mio padre ho frequentato molti artisti e intellettuali dell´epoca come Picasso e Sartre. Mia madre era una donna libera in un´epoca in cui le donne spesso non lo erano. Da lei ho ereditato una morale autonoma. Non ho mai accettato regole imposte che non condividevo».
Lei accusa i giovani di essere conformisti, rassegnati al peggio. Il successo del libro non dimostra invece il contrario?
«Troppo a lungo siamo rimasti indifferenti. Abbiamo accettato l´inaccettabile. Il divario tra ricchi e poveri non è mai stato così profondo. Vengono minacciati diritti elementari come quello alla cura, la pensione, la rappresentanza sindacale, l´accoglienza degli immigrati. Dobbiamo tornare a difendere un sistema di valori che la mia generazione ha contribuito a creare e sul quale si basano le democrazie moderne, come la Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo o il programma del Consiglio nazionale per la Resistenza».
Perché ispirarsi ancora alle lotte di sessantacinque anni fa?
«All´epoca il nostro paese era occupato dai nazisti, c´era il regime di Vichy. Oggi tutto è diverso, non abbiamo più il nemico in casa, fortunatamente i totalitarismi sono stati sconfitti. Dobbiamo affrontare nuove sfide nel campo ambientale, economico e sociale. Ovviamente, le domande non sono le stesse del 1943, ma le risposte devono comunque fondarsi su principi di libertà, uguaglianza e giustizia sociale. Mi rivolgo ai giovani perché sono loro che dovranno custodire quest´eredità comune».
E´ stupito dall´entusiasmo che ha scatenato il suo appello?
«Non dobbiamo farci illusioni. La maggioranza delle persone, in ogni epoca, preferisce rimanere in silenzio, chiudersi nel proprio orticello. Durante la guerra, i giovani che appoggiavano la Resistenza furono appena il dieci per cento della popolazione. Probabilmente, anche oggi esiste solo una minoranza illuminata. Ma la nostra esperienza dimostra che può essere sufficiente per cambiare il corso della Storia».
La guerra è stata un´educazione al coraggio?
«Sono stato condannato al patibolo e solo per caso non hanno eseguito la sentenza. Mi hanno catturato dopo un´evasione, ma non hanno fatto in tempo ad impiccarmi. Infine sono sopravvissuto a Buchenwald scambiando la mia identità con un francese già morto. Mi considero un multi-sopravvissuto, e dunque un multi-responsabile. Il mio impegno nasce anche dal ricordo di tutti gli amici che ho perso durante la guerra e di quel ragazzo bruciato con il mio nome».
Nel 1948 ha partecipato come diplomatico francese alla stesura della Dichiarazione Universale dei diritti dell´Uomo. Cosa rimane di quel testo?
«E´ stata Eleanor Roosevelt a intuire che, per prevenire nuovi conflitti, bisognava diffondere le libertà fondamentali e i diritti umani. Insisto sempre sulla parola ‘universale´. Non è un testo occidentale, come sostengono alcuni. Con quella Dichiarazione si è creato un movimento di progresso democratico, anche se purtroppo ci possono essere battute d´arresto. L´Italia, per esempio, mostra segnali di regressione».
E´ stato molto criticato per la sua posizione sulla Palestina e l´adesione a un´iniziativa di boicottaggio dei prodotti israeliani.
«Con quello che ho vissuto in quanto ebreo durante la guerra, non prendo sul serio l´accusa di antisemitismo. Ma rivendico il fatto di poter esercitare una pressione non violenta sul governo di Israele affinché rispetti il diritto internazionale e riconosca lo Stato palestinese».
Indignarsi. E poi?
«Intanto significa mettere a fuoco il problema. E´ come nominare un obiettivo, per poi centrarlo. Solo così si possono cercare delle soluzioni. Alla fine del libro parlo di alcune proposte. Insieme a Michel Rocard sto lavorando a un testo di azioni concrete condiviso da una cinquantina di ex capi di stato e di governo, e da intellettuali come Edgar Morin, Amartya Sen, Joseph Stiglitz».
La vecchiaia ha cambiato il suo sguardo sul mondo?
«Alla mia età ci si sente finalmente liberi. Non devo più fare carriera, non temo critiche o nuovi nemici. La mia generazione è passata attraverso cambiamenti epocali. Ho vissuto il nazismo, ma anche l´approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo, la colonizzazione e la decolonizzazione, lo stalinismo e la caduta dell´impero sovietico, ho visto la Germania divisa e riunificata, ho conosciuto il Sudafrica con l´Apartheid e poi ho incontrato Nelson Mandela. Posso testimoniare che anche i problemi più gravi si superano».
Dove trova la forza di reagire?
«Una delle mie più grande gioie è conoscere a memoria un centinaio di poesie nelle mie tre lingue: francese, inglese e tedesco. Quando mi annoio o attraverso momenti difficili, mi basta recitare Il cimitero marino di Paul Valery o qualche verso di Rilke per risollevarmi. Accanto alla ragione e alla disciplina intellettuale, mi appoggio sull´immaginario, la fantasia. Cerco un altro ritmo del pensiero. E´ una forma di allenamento spirituale molto più importante dell´esercizio fisico che tra l´altro non ho mai praticato. Ho sempre seguito il consiglio di Winston Churchill: ‘Se vuoi vivere a lungo, non fare sport´».

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