Frida, l’eroina che celava il suo mito

Incidenti e tradimenti dietro la popolarità  e il destino della Kahlo

Incidenti e tradimenti dietro la popolarità  e il destino della Kahlo

Come dopo ciascuna delle 32 operazioni chirurgiche che incisero il suo corpo, ancora una volta Frida è tornata. Ed è tornata a modo suo, attirando oggi come allora nella sua cerchia autori e autrici rapiti da una personalità che incarna il senso stesso della lotta, l’irrisione al potere— quello secolare o quello senza tempo della morte — e il grido umano della sofferenza. Almeno quattro novità librarie celebrano infatti, con diverse angolazioni, la vita e l’arte di Frida Kahlo: una biografia nota, celebrata già da libri e film, ma da conoscere ancora meglio, tanto è esemplare. Colpita da una paresi a nove anni, a diciotto anni frantumata, letteralmente, da un incidente d’autobus che le spezzò la spina dorsale e quasi ogni arto, Frida così straziata divenne la più nota pittrice del Novecento (non solo) messicano, attivista politica, madrina insieme al marito Diego Rivera di un cenacolo che comprendeva la Modotti, Eisenstein, Breton, ammirata da Picasso e da Miró, amata da Trotskij. Una donna che, come le disse Georgia O’Keeffe, sapeva dipingere parti, pianti, aborti, lacerazioni, cioè quel «qualcosa che non si guarda» , come racconta con passione il romanzo Il letto di Frida (traduzione di Elvira Mujcic, La Tartaruga, pp. 154, e 18) di Slavenka Drakulic. È interessante il romanzo della Drakulic (già cronista del mondo ex comunista e del conflitto jugoslavo) perché vuol cogliere la voce intima di una donna che definiva sé «la ocultadora» , colei che nasconde e che solo nei quadri si dipingeva come una colonna spezzata in un petto squarciato o una radice sanguinante. Dal letto di morte, a 47 anni, ormai immobile, senza una gamba, scossa dalla febbre polmonare che è solo l’ultimo dei disfacimenti del corpo, l’eroina delle pagine dalla Drakulic racconta, alternando la prima e la terza persona, l’incalzare del dolore: il dolore fisico, nascosto nella vita ed esposto invece nei rovi, nei teschi e nel sangue delle sue tele e quello interiore, l’amore disperato per il marito, maestro riconosciuto dei murales messicani e altrettanto riconosciuto dongiovanni, amante perfino della sorella di Frida, Cristina. La Kahlo ha compreso come «la sofferenza non si potesse esprimere a parole, ma solo con grida incomprensibili» , ha dipinto «quelle cicatrici perché anche gli altri potessero arrivare alla mia solitudine» : e nel libro, che intreccia frasi della Frida storica con lo scavo psicologico ardito dell’autrice, niente è più nascosto. Qui si spiegano «i foulard dai colori vivi» come tentativi di legare a sé il marito. impersonando per lui l’ideale del messicanesimo, la seduzione e il dolore carnale di un viso dolce nelle fotografie e severo nei dipinti, i molti amanti, la tortura della cancrena che trascorre dalle dita alla tela come una delle piante in cui i suoi autoritratti sono spesso avvolti. Fino alla comprensione suprema, sacrificale, dell’arte di Frida: «Per essere lei, aveva bisogno di questo corpo» . E tutta Frida ritroviamo nell’intenso monologo ¡ Viva la vida! di Pino Cacucci (Feltrinelli, pp. 77, e 8), accompagnato dai due scritti «Frida: momenti, immagini, ricordi sparsi» e «Amores y desamores» . Grido dopo grido, qui Frida racconta la sua vita con un ritmo incalzante, a cominciare da quel «corrimano di quattro metri» che «mi era entrato nel fianco» nell’incidente d’autobus: ma il testo teatrale di Cacucci mostra il sangue meticcio di Frida, le sue radici indie e individua nella convivenza di Frida e della sua pittura con la morte, la «Pelona» , la «cagna spelacchiata» , la «Morte irridente della mexicanidad» , l’anima stessa del popolo messicano («Mi piace pensarmi come Tlazoltéotl, dea azteca della purezza e della lordura» ). Spiegando, infine, con una nitidezza rara anche il senso della sua arte: «Perché l’arte non esprime la realtà. La fonda» . Un’arte che è divenuta un simbolo del Messico, spiega Cacucci: Frida aveva addirittura mentito sulla propria età per proclamarsi nata nel 1910, anno della rivoluzione. Un’arte che non smette di appassionare il mondo: dopo la mostra che ha attraversato l’Europa l’anno scorso (nel centenario della sua «falsa» nascita), si susseguono infatti le esposizioni dedicate alla pittrice della Casa Azul (a Baden Baden una permanente che dal 15 gennaio ha aperto anche una stanza dedicata al padre Wilhelm; a Istanbul fino al 20 marzo la mostra dedicata a Frida e a Diego Rivera, con le opere della collezione Gelman). La sua potenza simbolica si riverbera anche nel romanzo La caverna (Mondadori, pp. 580, e 21) di Barbara Kingsolver, in cui il protagonista, Harrison Sheperd lavora come assistente proprio per Frida Kahlo e il marito. Ma tra i libri in cui Frida ritorna c’è anche Mosche d’inverno (Sellerio, pp. 272, e 13) di Eugenio Baroncelli: la sua vita passa in uno dei lampi di Baroncelli, che scrive, evocando la Casa Azzurra di Frida, dove sono esposte le sue protesi e i suoi busti: «Se solo non fosse quello che è, una irrimediabile Camera delle Torture, sarebbe quello che sembra: una abbagliante Camera delle Meraviglie»

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password