La narrazione è ormai l’unica lingua riconosciuta: vince chi la usa meglio
Il saggio di Walter Benjamin appena ripubblicato è fondamentale per ragionare su un tema molto attuale: il ruolo del racconto Perché ogni cosa è diventata una storia. Lo “storytelling” è ormai l’unica lingua riconosciuta. Vince chi la usa meglio, che sia Obama o un frullato
La narrazione è ormai l’unica lingua riconosciuta: vince chi la usa meglio
Il saggio di Walter Benjamin appena ripubblicato è fondamentale per ragionare su un tema molto attuale: il ruolo del racconto Perché ogni cosa è diventata una storia. Lo “storytelling” è ormai l’unica lingua riconosciuta. Vince chi la usa meglio, che sia Obama o un frullato
Come sanno quelli che la frequentano, la scrittura saggistica è uno strano animale anfibio che, servendo l´intelligenza, ottiene alle volte il risultato imprevisto di una bellezza tutta particolare, non indegna di quella inseguita dalla poesia o dalla prosa letteraria.
Un buon esempio è il saggio di Walter Benjamin che Einaudi ripubblica in questi giorni (Il narratore, Considerazioni sull´opera di Nikolaj Leskov). Se dovessi dire perché bisogna leggerlo – e bisogna leggerlo, se non lo si è già fatto – la prima cosa che mi verrebbe da dire sarebbe, semplicemente: perché è così bello. L´eleganza del tono, la struttura quasi teatrale, l´incanto di alcune frasi. E quella mirabile paginetta sulle fiabe? E quella frase pazzesca sulla saggezza e sul sapere? E la fulminante definizione dei proverbi? Un´emozione, credetemi.
Una seconda buona ragione per leggere questo saggio è il suo argomento, la narrazione. In teoria sarebbe un saggio su Leskov, scrittore russo ottocentesco che Tolstoj, per dire, giudicava grandissimo (noi, intesi come barbari del 2000, un po´ meno). Ma in realtà Leskov fu per Benjamin una specie di pretesto per ragionare su un tema che, evidentemente, lo affascinava: cos´è la narrazione, e che razza di figura sia, nella geografia dei viventi, quella del narratore. Il tema è, per noi, di straordinaria attualità. Non sono sicuro che lo fosse per lui (era il 1936), ma certo lo è per noi. Come tutti avranno ormai notato noi viviamo in una civiltà che negli ultimi vent´anni ha deciso di farsi governare dalla narrazione: l´ha presa come forma privilegiata di qualsiasi comunicazione. Se posso fare un esempio ridicolo, si sarà notato che da un po´ di tempo un´autorevole industria alimentare italiana ha messo in commercio una nuova linea di succhi di frutta (ma forse sono anche un po´ frullati, non ho capito, e me ne scuso) scegliendo questo straordinario nome: Storie di frutta. A volte, nel suo rude cinismo, il marketing ci aiuta a capire cose molto più grandi di lui: qui, l´idea che dalla pera al succo di pera succeda qualcosa, e quel qualcosa generi un´amplificazione dell´esperienza, e grazie a quel qualcosa scocchi in qualche modo una magia – tutto questo è sintetizzato genialmente in una sola parola: storia. Così come un anziano è la somma di un bambino più tutta una vita, così la pera, diventando succo di pera, vive tutta una vita, entra nel mondo della saggezza, di una qualche grandezza: diventa una storia. Vorrei essere chiaro: all´epoca in cui io ero bambino, un succo di frutta con quel nome glielo tiravamo dietro. Cosa è successo, nel frattempo? La stessa cosa che ha portato Obama alla Casa Bianca, probabilmente, cioè un innalzamento dello storytelling a unica lingua riconosciuta unanimemente: chi la usa meglio, vince. O vende.
Di fronte a un processo del genere, anche i più entusiasti fan della narrazione – quelli che la difendevano quando a farlo si passava per Liala – provano un misto di soddisfazione e sgomento. Non sfugge che questo trionfo della narrazione ci sta immettendo in un mondo assai strano, in cui il confine tra i fatti e il racconto dei fatti ha confini molto labili, e spesso inesistenti. Spesso non solo non riusciamo a capire cosa è reale e cosa narrazione, ma non ci importa saperlo. È quel genere di fenomeno che se ti svegli di buon umore ti sembra geniale, ma se hai dormito male ha tutta l´aria di un rimbambimento generale. Così, nello stato di vaga confusione, accade di rivolgersi ai vecchi maestri, e di cercare lì una qualche bussola utilizzabile. Ed ecco lì, bell´e pronto, Benjamin. Se la domanda è dove finisce la genialità e inizia il rimbambimento, lui un confine lo fa vedere, una soglia la suggerisce, una risposta la azzarda. Se la narrazione è una magia a cui non dobbiamo rinunciare, lui spiega come non rimanerne stregati. Se le storie sono qualcosa con cui ci difendiamo dalla falsa semplicità dei fatti, lui suggerisce come non diventarne schiavi. Non dico che lo faccia con una chiarezza adamantina, sarebbe troppo facile, ma lo fa in un modo sufficientemente accessibile ai più. E dove chiede fatica, restituisce bellezza. Secondo un vecchio schema piuttosto in disuso, che però, ogni tanto, non è male tornare a visitare.
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