Bp, disastro decennale

Non è ancora fatto, il bilancio definitivo del disastro avvenuto nella primavera 2010 nel Golfo del Messico – l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon con l’apertura del sottostante pozzo di petrolio Macondo, della Bp, che ha provocato la fuoriuscita di milioni di barili di greggio nell’arco di tre mesi.

Non è ancora fatto, il bilancio definitivo del disastro avvenuto nella primavera 2010 nel Golfo del Messico – l’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon con l’apertura del sottostante pozzo di petrolio Macondo, della Bp, che ha provocato la fuoriuscita di milioni di barili di greggio nell’arco di tre mesi.

Non è ancora fatto perché l’impatto di quei milioni di barili di greggio sull’ecosistema del Golfo comincia appena a rivelarsi. Anzi: l’oceanologa Samantha Joye, professore al Dipartimento di scienze marine alla University of Georgia, ha dichiarato sabato all’Associazione americana per l’avanzamento delle scienze che ci vorrà probabilmente una decina d’anni perché tutti gli effetti del disastro siano visibili.
Samantha Joye e un gruppo di colleghi studiano da mesi gli effetti del petrolio disperso al largo della Louisiana. In particolare, hanno usato un sottomarino da ricerca (il sottomarino Alvin) per osservare lo strato più profondo dell’oceano attorno al pozzo danneggiato (che si trova su a 1.600 metri, uno dei pozzi più profondi mai scavati). Ebbene: Joye e colleghi hanno trovato che sul fondale o in prossimità di esso c’è uno strato di petrolio e animali morti spesso anche 10 centimetri in alcuni punti. E sono giunti a conclusione che vi si sia depositato tra giugno e settembre del 2010, dopo che era stato scoperto che nei campioni d’acqua presi in maggio non rimaneva traccia di vita marina. «Organismi che si nutrono filtrando l’acqua, piccoli invertebrati, coralli, gorgonie a ventaglio, tutti questi hanno subìto un impatto – e per impatto intendo dire uccisi», ha spiegato la professoressa Joye nella sua conferenza all’Accademia delle scienze, sabato (ne riferisce la Bbc). «Un altro punto critico è che degli organismi che si nutrono di detriti, come il cetriolo di mare (oloturia) o piccole stelle che vagano sui fondali, non abbiamo visto nessun organismo vivo. Di solito sono ovunque, e non ne abbiamo visto uno solo». Gli organismi sul fondale marino stimolano l’attività dei micro-organismi e ossigenano i sedimenti, due attività alla base della catena alimentare acquatica: la loro scomparsa avrà inevitabilmente un effetto a lungo termine su altre specie più vicine alla superfice marina – incluse quelle che vengono pescate per il consumo umano. Samantha Joye faceva notare che dopo il disastro della Exxon Valdez ci vollero parecchi anni per capire che l’industria della pesca delle aringhe era completamente distrutta.
Parte dei risultati della ricerca di Joye e colleghi stanno cominciando a uscire su pubblicazioni scientifiche (su nature Geoscience ad esempio c’è un’analisi della presenza di idrocarburi gassosi e l’impatto che ha sui livelli di ossigeno nell’acqua del mare). Qualcosa è anche sul blog che la scienziata stessa cura sul sito dell’Università della Georgia, titolato Gulf Oil Blog (gulfblog.uga.edu/).
Da questi studi discende tra l’altro che se la catena alimentare marina subirà conseguenze a lungo termine, allora anche le stime sul danno economico del disastro vanno riviste. Di recente l’amministratore del fondo per i risarcimenti istituito dalla Bp su richiesta del governo degli Stati uniti (un fondo di 20 miliardi di dollari) ha stimato che il Golfo del Messico avrà recuperato la normalità alla fine del 2012. Samantha Joye contesta questa stima: «Il Golfo ha capacità di recupero, credo che si riprenderà da questo insulto», ha detto, «ma non credo che si sarà ripreso pienamente per il 2012. Al contrario, penso che solo intorno al 2012 cominceremo davvero a vedere le ripercussioni sulla pesca».

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