Animo di artista

COME RICONCILIARE L’ARTE CON IL SOCIALE
«Artist’s box: il luogo dell’anima» è il titolo di una mostra in visione fino al 20 febbraio presso il Centro per l’arte contemporanea Open Space di Catanzaro. Obiettivo: chiamare a raccolta gli artisti contemporanei per rilanciare un’idea di arte che superi la frammentazione e il distacco tra impegno artistico e impegno sociale. In mostra le «scatole» in cui ciascun artista ha racchiuso qualcosa da tramandare alle generazioni future

COME RICONCILIARE L’ARTE CON IL SOCIALE
«Artist’s box: il luogo dell’anima» è il titolo di una mostra in visione fino al 20 febbraio presso il Centro per l’arte contemporanea Open Space di Catanzaro. Obiettivo: chiamare a raccolta gli artisti contemporanei per rilanciare un’idea di arte che superi la frammentazione e il distacco tra impegno artistico e impegno sociale. In mostra le «scatole» in cui ciascun artista ha racchiuso qualcosa da tramandare alle generazioni future

CATANZARO. L’arte per il sociale porta sempre con sé il rischio di cadute ideologiche, per questo in passato è stata talvolta declassata a propaganda anche quando era tutt’altro.
Così, questo encomiabile aspetto di stretto nesso tra l’operazione artistica e l’impegno più genuino per le persone ha avuto una battuta d’arresto. Ma con significative eccezioni. Si pensi a «Terrae Motus», la collezione messa in piedi da Lucio Amelio dopo il terremoto del 1980, oppure alla collezione nata dopo il disastro di Sarno. E tante altre. Oggi, a Catanzaro, al Centro per l’Arte Contemporanea Open Space, per la seconda edizione consecutiva, ci provano a costruire il progetto «Un augurio ad arte», organizzato dagli operatori didattici e dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti per rilanciare, dagli artisti più anziani e affermati verso i più giovani, un’idea dell’arte che non sia ulteriore distacco e frammentazione in un’epoca che ha già raggiunto l’apice della disgregazione e dell’alienazione. «Artist’s box: il luogo dell’anima» è il titolo di questa nuova edizione che ha chiamato a raccolta tantissimi artisti contemporanei (per citarne alcuni: Lucio Del Pezzo, Michelangelo Pistoletto, Mario Cresci, Riccardo Dalisi, Corpicrudi, Eugenio Ciliberti, Stefano Cagol, Piero Gilardi, Giuseppe Spagnulo, Antonio Paradiso, Mauro Staccioli, Giulio De Mitri, Pino Pinelli, H.H.Lim) per la realizzazione di una «scatola d’artista» in cui ciascuno racchiuda il proprio linguaggio, la propria «Anima Mundi».
Così sono state inviate tantissime scatole di legno ad altrettanti artisti in cui si chiedeva loro di riempirle di un’idea, di un contenuto. All’appello hanno risposto cinquantasei artisti per cinquantatré scatole d’artista (qualcuna fatta in coppia) in cui ognuno ha racchiuso qualcosa di se stesso e della propria arte da tramandare alle nuove generazioni. E così ne è venuta fuori una mostra (è aperta fino al 20 febbraio prossimo) che è anche un piccolo gioiello di intimità, un po’ come gli scrigni di un tempo, che nascondevano i valori e i desideri più segreti. Dicono gli organizzatori: «Le nuove generazioni hanno chiesto al mondo dell’arte un’indicazione, un segno tangibile e riconoscibile per meglio interagire con il presente e con il prossimo futuro, vedendo nella cultura l’espressione più sensibile e universale del pensiero umano in grado di azzerare categorie e gerarchie, di eludere e vincere il malcostume e l’edonismo estetico di cui è principe la società contemporanea». Dunque un dono vero e proprio, lontano da qualsiasi interesse che non sia il rapporto gratuito con l’altro. E, intreccio ancor più intrigante, alcuni critici hanno offerto il loro contributo dialogando a distanza e, in qualche modo, facendo da trait d’union tra gli artisti affermati e i giovani.
L’arte può così di nuovo ritornare sociale e parlare agli individui della loro vita collettiva? L’artista può di nuovo sedimentare i suoi lavori nel territorio dove vive dialogando con altri territori senza complessi d’inferiorità? L’Open Space di Catanzaro pensa di sì. E, a vedere la mostra delle opere in scatola dei cinquantasei artisti, sembra proprio che l’operazione sia non solo riuscita ma possa essere un moltiplicatore di iniziative simili in tanti altri luoghi che hanno un comune denominatore, cioè un grande desiderio di autonomia (si potrebbe chiamare «federalismo», se la parola non fosse stata sporcata da anni di egoismo e separatismo leghista).
E sono tanti i critici che hanno presentato i loro autori preferiti. Simona Caramia, ad esempio, introduce così i lavori dei suoi artisti preferiti: «La scatola, luogo dell’anima, scrigno dove custodire segreti, speranze, timori; contenitore chiuso ermeticamente o aperto, esposto alle passioni. In ogni caso dono unicum e personale da offrire al prossimo, in un gesto di altruismo o per impellente necessità di dare o darsi». E Miriam Cristaldi parla di «una sorta di singolarissimo codice allegorico, necessario per decifrare un misterioso rituale che cinquantasei artisti realizzano attraverso l’uso sistematico di una scatola di legno naturale». Anna Saba Didonato, di rimando, scrive di scatole come «contenitore neutro che si carica di attese e speranze e diviene punto di tangenza tra presente e futuro». E non a caso il testo di Aldo Iori è intitolato «Dono ergo sum». Ma vediamole queste scatole di augurio ai giovani artisti da parte di altri artisti affermati sulla scena. Il torinese Piero Gilardi regala la sua scatola piena di povere cose della natura e scrive il suo «vi auguro di ricordare che…» dove elenca ogni pregio che la natura ci ha dato. Stefania Pellegrini ci offre la scatola con l’opera «Abitoquadro», con figura di intensa intimità femminile. Antonio Paradiso disegna l’«Ultima cena globalizzata», già in esposizione dal vero nella sua gigantesca cava alla periferia di Matera dove ha composta l’opera con i pezzi originali delle Twin Towers. E se Giulio De Mitri regala una sorta di epifania azzurra in forma di farfalla, Eugenio Giliberti il disegno con due scarpette rosse, poetica del vivere quotidiano. Mauro Staccioli sembra ironizzare sulla retorica dell’Unità d’Italia, Karin Andersen esplora il mondo della favola, la coppia di fotografi Franco Vaccari e Mario Cresci si mette in gioco scambiandosi la propria filosofia fotografica («la fotografia è la forma del pensiero» e «pensare insieme per il futuro»). La poetica emozionante di Riccardo Dalisi fa da pendant con la semplicità dell’intervento di Stefano Cagol che offre la sua scatola con sopra scritto «take» («prendere») e dentro l’altra parola magica «make» («fare»). Michele Carone, con la sua scatoletta ricoperta di peluche rosa e testa della Pantera Rosa, alleggerisce e sdrammatizza tutta l’operazione. E se Corpicrudi (al secolo la coppia genovese Sergio Frazzingaro e Samantha Stella) mette in atto una mini performance fatta di fazzoletto ricamato, libricino da prima comunione e rosario, Lucio Del Pezzo dà il suo augurio con razzo e cielo luminoso. Flavio De Filippi fa uscire dalla sua scatola un cartoncino rosso con disegnata sopra una falce e martello, un simbolo che più evidente non si può. Ma è il padre dell’Arte Povera, Michelangelo Pistoletto, a prendersi la responsabilità di concludere con una scatola dove un cartoncino offre un suo disegno e questo augurio: «Agli artisti giovani dell’Accademia. L’augurio di uscire dall’Accademia!».

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