Il 16 ottobre nasce Uniti contro la crisi in piazza San Giovanni al fianco delle tute blu, il 17 si interroga all’assemblea della Sapienza, il 14 dicembre si cimenta di nuovo con la piazza degli studenti, il 28 gennaio farà le prove generali nello sciopero generale e un po’ generalizzato della Fiom. Nel mezzo, due giorni di seminario in corso di svolgimento a Marghera, tutti ospiti del Centro sociale Rivolta.
Il 16 ottobre nasce Uniti contro la crisi in piazza San Giovanni al fianco delle tute blu, il 17 si interroga all’assemblea della Sapienza, il 14 dicembre si cimenta di nuovo con la piazza degli studenti, il 28 gennaio farà le prove generali nello sciopero generale e un po’ generalizzato della Fiom. Nel mezzo, due giorni di seminario in corso di svolgimento a Marghera, tutti ospiti del Centro sociale Rivolta.
Cos’è Uniti contro la crisi? Non è e non vuol essere un’organizzazione né una sommatoria di sigle o movimenti. Pensare di federare tutte le isole non cementificate dal pensiero unico, ciascuna con la sua bandierina e la sua identità mummificata in un tempo indistinto, non porterebbe da nessuna parte. Al centro del suo agire, Uniti contro la crisi, che nasce dal rifiuto dell’ossificazione dei due tempi, pensiero e azione, c’è la crisi di sistema e la pretesa del capitalismo di uscirne con le stesse regole e persino le stesse persone che l’hanno scatenata. Allora come fanno a costruire insieme una nuova storia i metalmeccanici della Fiom con gli studenti, i precari della conoscenza con gli attivisti dei movimenti sorti in difesa dei beni comuni, dell’ambiente, del territorio? Cosa scriveranno di condiviso gli operai dell’auto con chi si batte per un diverso, ribaltato modello di sviluppo? È la domanda formulata in lingue e toni diversi dai mille, millecinquecento avventurosi, giovani e giovanissimi studenti, operai, ricercatori, intellettuali che si alternano tra sedute plenarie e workshop al Rivolta.
Il metodo è merito, e si chiama democrazia. A Mirafiori dove gli operai alla catena di montaggio hanno fatto lezione di dignità, come all’università, nella cultura come nelle battaglie per l’acqua pubblica. O nell’informazione. L’attacco alla democrazia, che sia portato avanti da Marchionne o da Sacconi, dai Tremonti o dai Bondi di turno, mira allo stesso scopo: ridurre alla subalternità e all’obbedienza le persone singole e gli aggregati sociali cancellandone soggettività e diritti. Se le notti di Berlusconi pongono un problema di moralità, i giorni e le notti alla catena di Pomigliano e le stock option di Marchionne, non pongono forse lo stesso problema? E non è forse un problema di democrazia, prima ancora che morale?
Riaprire un confronto a tutto campo sul presente e il futuro tra diversi, resi più simili da un presente e un futuro precario è possibile soltanto se chiunque voglia entrare in questa storia è disposto ad appendere al chiodo le sue presunte appartenenze usate come armi improprie. Senza rese, ma confrontando le antiche certezze con i processi reali. Dentro un centro sociale del nordest, esempio di efficienza e organizzazione, di ospitalità e di lavoro liberato dal profitto, Luca Casarini ha il coraggio di liberarsi di un elemento identitario come «il lavoro immateriale», che «non esiste, semmai la merce può essere immateriale, mai il lavoro». E chi come il segretario della Fiom Maurizio Landini è figlio di una storia sindacale novecentesca che ha sempre concepito il lavoro come unica ragione e condizione del reddito, nell’analisi dei processi reali, con la precarizzazione globale che divide i soggetti e unifica al ribasso le condizioni materiali, dentro un processo di redistribuzione della ricchezza che toglie ai poveri per dare ai ricchi, trova ragionevole l’obiettivo del reddito di cittadinanza.
Questo è il metodo di confronto che vive dentro Uniti contro la crisi, in un seminario fondativo che trova le sue radici nel lavoro: una nuova storia, con molti capitoli da scrivere ma con la certezza che la crisi democratica e delle forme tradizionali della politica fa pulizia della scissione tra lotte sociali e mediazione politica, nessuna delega è più immaginabile, e in questo senso analisi e azione – e rappresentanza – debbono camminare insieme. Sostenuti dalla passione che anima le giornate di Marghera e dalla consapevolezza dei limiti di un pensiero critico che deve mettere in connessione gambe e testa, se vuole liberarsi del pensiero unico. Il confronto è partito, con un metodo che ricorda i momenti migliori delle giornate di Genova pur tenendone ben presenti i limiti e le derive. I no di Pomigliano e Mirafiori aiutano, e indicano il cammino.
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