Quando il potere mente e pretende l’impunità 

Spesso gli uomini di governo raccontano falsità  ai cittadini. Quello che cambia da paese a paese è la diversa reazione dell’opinione pubblica 

Spesso gli uomini di governo raccontano falsità  ai cittadini. Quello che cambia da paese a paese è la diversa reazione dell’opinione pubblica 

Stati Uniti e Italia hanno atteggiamenti molto diversi, a quanto pare, di fronte alle menzogne degli uomini politici.
Negli Stati Uniti, il Presidente Richard Nixon è stato costretto a dimettersi perché aveva mentito nello scandalo del Watergate, anche se non è mai stato dimostrato che Nixon sapesse in anticipo del furto commesso nella sede del Partito Democratico, evento che fece scattare le indagini. Il Presidente Bill Clinton è scampato per un paio di voti all´impeachment perché aveva mentito davanti agli investigatori sul suo rapporto sentimentale con la stagista Monica Lewinsky.
In Italia, le bugie del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sono ormai innumerevoli, fino allo scandalo attuale, il cosiddetto Rubygate, in cui nega di aver pagato per prestazioni sessuali e di aver esercitato pressioni sulla polizia per far rilasciare la ragazza marocchina minorenne.
L´atteggiamento americano nei confronti del mentire è complesso e a volte contraddittorio. Le bugie hanno comunque sempre svolto un certo ruolo nella vita pubblica americana.
Alla fine dell´Ottocento gli Stati Uniti hanno mosso guerra alla Spagna sulla base di un episodio volutamente gonfiato, se non addirittura inventato: l´esplosione della nave americana Maine nel porto dell´Avana, che, si venne poi a sapere, fu un incidente del tutto casuale e non un atto di guerra. Eppure gli Americani sono andati in guerra ripetendo lo slogan “Remember the Maine”, impossessandosi intanto dei territori di varie colonie spagnole. Più recentemente Lyndon Johnson ha giustificato l´intensificazione dell´intervento americano nel Vietnam sulla base di una serie di attacchi sottomarini nel Golfo del Tonchino. Quando fece il suo discorso pubblico sulla necessità di mandare più truppe nel Vietnam, Johnson pensava davvero che gli attacchi fossero avvenuti. Ma dopo aver saputo che i rapporti iniziali erano sbagliati, il presidente non rettificò quello che sapeva essere una versione falsa dell´episodio. Durante la Guerra Fredda i presidenti americani e i loro consiglieri hanno giustificato l´uso dell´inganno e della semplificazione e perfino della menzogna sostenendo che giusti fini giustificassero mezzi discutibili. Così il pubblico americano ha perdonato Ronald Reagan nell´affare Iran-Contras, dove l´amministrazione aveva mentito ripetutamente sul programma illegale di vendere armi all´Iran dell´Ayatollah per poi usare i profitti per aiutare i Contras dell´America centrale.
Eppure la concezione dell´onestà e della credibilità dei nostri presidenti rimane un valore importante. Il presidente Dwight Eisenhower pensò perfino di dimettersi quando fu colto ad aver mentito dopo la caduta di un aereo-spia in territorio sovietico. I presidenti che hanno mentito a danno della collettività hanno pagato un caro prezzo: le bugie sulla guerra in Vietnam hanno gravemente compromesso la presidenza di Johnson, spingendolo a non presentarsi come candidato nel 1968. Come le menzogne di Bush hanno contribuito a spingere il suo tasso di approvazione a livelli bassissimi verso la fine del suo mandato.
Gli americani fanno una grossa distinzione tra bugie raccontate per ragioni di stato e bugie dette per puro vantaggio personale. Gli americani non hanno mai seriamente pensato di punire George W. Bush perché aveva mentito sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq e le ragioni dell´invasione. Invece Nixon è caduto non solo perché aveva mentito, ma anche perché tutta l´operazione Watergate non aveva alcuna giustificazione nella salvaguardia del bene pubblico, ma aveva l´unico scopo di favorire Nixon nella sua campagna elettorale del 1972. Invece nel caso Clinton-Lewinsky la grande maggioranza degli americani perdonò il presidente perché capì che le sue menzogne erano basate su ragioni puramente private: non è mai venuto fuori nessun atto pubblico che dimostrava che Clinton fosse stato influenzato dal suo rapporto con la Lewinsky. Perciò, malgrado quasi tutti i deputati e senatori repubblicani fossero determinati a far fuori il presidente, il tasso di approvazione di Clinton rimase sempre piuttosto alto anche nei momenti più bui dello scandalo.
Gli italiani fanno fatica a capire (nel caso Berlusconi) che il privato può sconfinare facilmente con il pubblico e sembrano non distinguere tra bugie dovute a qualche “ragione di stato” e quelle per puro tornaconto personale. Molti cittadini si rifiutano di considerare altro che “spazzatura” episodi squallidi e comportamenti poco etici, fatti puramente privati che dovrebbero rimanere dietro le porte chiuse del “privato”. Ma ne trascurano le conseguenze pubbliche: per esempio che alcune delle ragazze presenti ai festini del presidente sono state portate da un imprenditore, Gianpaolo Tarantini, il quale sperava di ottenere – e otteneva – appalti governativi. Nel caso di Ruby il pubblico e il privato, l´immorale e il lecito sono tutti intrecciati: il presidente del Consiglio, dopo aver ricevuto una telefonata di allarme da una prostituta brasiliana, ha interrotto un viaggio di stato in Francia ed è intervenuto ripetutamente con la polizia di Milano. Ha raccontato delle bugie invocando ragioni di stato, accennando la parentela di Ruby con il presidente egiziano Mubarak per ragioni puramente personali: per tirar fuori dalle mani degli investigatori una ragazza minorenne che avrebbe potuto raccontare aspetti pericolosi della vita del premier.
In realtà, anche mentire per ragioni di stato si è quasi sempre rivelato un grave errore: dal Vietnam all´Iran-Contras alla guerra in Iraq, le bugie hanno solo aiutato a giustificare politiche con fondamenta molto fragili che non avrebbero retto a un esame più serio delle loro ragioni. La trasparenza ha spesso salvato vite umane, forse milioni. Rispettare la verità, la legge, l´opinione pubblica non è questione di puro moralismo, e non è una questione solamente americana.

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