SAGGI Tra etica, estetica e politica l’ultimo libro di Montani
Il cumulo di immagini che consumiamo ogni giorno non aumenta la visibilità del mondo, al contrario: tende a rendercelo indifferente, lo trasforma in una variabile irrilevante rispetto alle forme di manipolazione che canalizzano gli sguardi, i comportamenti e le reazioni degli spettatori.
SAGGI Tra etica, estetica e politica l’ultimo libro di Montani
Il cumulo di immagini che consumiamo ogni giorno non aumenta la visibilità del mondo, al contrario: tende a rendercelo indifferente, lo trasforma in una variabile irrilevante rispetto alle forme di manipolazione che canalizzano gli sguardi, i comportamenti e le reazioni degli spettatori. Dietro immagini che si spacciano per semplici riproduzioni della realtà, e che saturano il nostro spazio visivo, il mondo progressivamente scompare e la nostra sensibilità viene anestetizzata, abituata a giudicare anche l’orrore come parte dello spettacolo visivo a cui siamo quotidianamente sottoposti. Il riferimento a quel che accade al di là delle immagini non viene del tutto disattivato: il «mondo vero» non diventa «favola», come voleva un aforisma di Nietzsche eletto a slogan dalle filosofie dell’era postmoderna. La forza delle immagini, però, è tale da ridurre al minimo la percezione della differenza che distingue il mondo dai suoi simulacri.
È ancora possibile chiedere alle immagini di testimoniare la realtà senza assorbirla nei loro meccanismi interni di riproduzione e diffusione? È possibile, cioè, «autenticare» le immagini, contrastare il movimento che le rende indifferenti al mondo, restituire loro la capacità di «farsi esperire come una testimonianza del fatto reale», piuttosto che come una semplice manifestazione della sua «epifania mediale»?
Nel suo nuovo libro, L’immaginazione intermediale (Laterza, pp. 82, euro 14,00), Pietro Montani descrive e affronta questo nodo problematico sottoponendolo a un’indagine critica che non rinuncia a esemplificazioni costruttive. Sono anzi proprio gli esempi, tratti in parte dalla cronaca recente e in misura assai maggiore dal cinema, a guidare la riflessione di Montani lungo un crinale che intreccia etica, estetica e politica. Sono film come Nella valle di Elah di Paul Haggis o come Fahrenheit 9/11 di Michael Moore a far emergere per primi, infatti, una convinzione che verrà poi ulteriormente rafforzata dal confronto con opere di Kiarostami, Lynch, Haneke, Herzog, Bellocchio e molti altri: per «autenticare» le immagini, per renderle di nuovo capaci di intercettare e raccontare il mondo, non bisogna concentrare l’attenzione sulle loro prestazioni referenziali, sulla loro maggiore o minore fedeltà a un contenuto, ma lavorare «sul rapporto tra i diversi dispositivi dell’immaginario tecnologico».
«Intermediale» è, precisamente, lo spazio in cui l’immagine viene portata a dialogare con le sue diverse modalità di produzione e di presentazione: l’audio con il video, il formato digitale con quello analogico, la finzione narrativa con il documentario. Il confronto tra media diversi sollecita lo spettatore a non accettare passivamente quel che vede, ma a porre domande sullo statuto delle immagini e a riconoscere proprio nel gioco delle differenze mediali il rinvio a un’alterità irrudicibile, impossibile da identificare con uno solo dei livelli coinvolti. Per restituire valore di testimonianza alle immagini dell’11 settembre, confuse nella nostra memoria con lo spettacolo della diretta televisiva, Michael Moore decide di non farle vedere e di sostituirle con un fondo nero da cui emerge soltanto l’audio, oppure con i primi piani di chi assiste alla catastrofe; nel film di Paul Haggis, Nella valle di Elah, per rendere giustizia al lascito enigmatico del figlio scomparso, il padre ricostruisce un nesso fra immagini che diventeranno rivelatrici e tragiche, perché denunceranno tanto gli orrori della guerra quanto la corresponsabilità del figlio stesso. Più in generale, osserva Montani, individuare e riabilitare un «elemento di discordanza» che non appiattisca il rapporto tra realtà e immagine è un modo per ripristinare la differenza che separa pur sempre il mondo dalla sua riproduzione nei media: una «differenza rimossa» che l’immaginazione intermediale ricostruisce pluralizzando le forme di elaborazione della traccia visiva, trovando uno spazio per la realtà senza rinunciare alle immagini o criticarle, ma rendendo più complessa e dialettica la loro relazione reciproca.
L’accento posto sul carattere plurale della realtà mediatica è uno degli aspetti che maggiormente motivano l’opzione filosofica di Montani per una dinamica dell’intermedialità. L’evoluzione dei media, scrive, ha un andamento «fisiologicamente pluralizzante» che solo decisioni di ordine politico ed economico schiacciano in una pasta omogenea, in una sfera di immagini «multimediali» o «multisensoriali» il cui compito è ripresentare, sotto profili apparentemente diversi, sempre la medesima indifferenza del mondo. Al lavoro del «montaggio intermediale» spetta perciò di fare leva proprio sulle risorse tecniche abitualmente utilizzate in senso riduttivo e anestetico per riattivarne la dinamica pluralizzante e lacerare la compattezza del nostro «involucro mediatico». Il piano di realtà che così riemerge fra le maglie di quell’involucro, e che si rende percepibile tramite la discontinuità di media utilizzati, non è un «contenuto» che si possa semplicemente affermare, o magari surrogare con il ricorso a nuove forme di rappresentazione. È piuttosto un compito, un debito che le immagini contraggono con la realtà e che sono chiamate a testimoniare senza mai poter saldare il conto. Per questo, precisa Montani, l’immaginazione intermediale non si interroga sulla presunta «autenticità» o «inautenticità» delle immagini, ma pone il problema dei loro processi di «autenticazione», cioè di quel che restituisce loro una relazione con il mondo. I percorsi dell’autenticazione possono essere molto diversi. Possono per esempio assumere le immagini dei media come se davvero non ci fossero più fatti oltre di esse, salvo poi lacerarle con l’intervento di un altro media inatteso, come fa Brian De Palma in Redacted ricorrendo a una straordinaria sequenza di immagini fotografiche che ridefiniscono il senso di quanto si era visto fino a quel momento. Oppure possono seguire strategie indirette, come fa Marco Bellocchio in Buongiorno, notte quando, mettendo in scena la liberazione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, esplora «creativamente il rapporto fra racconto storico e racconto di finzione». Anziché riflettere sulle immagini, Montani tenta di farlo con le immagini, o meglio a partire dal loro trattamento, per farci vedere in modo diverso qualcosa che abbiamo abitualmente sotto gli occhi ma di cui stentiamo a riconoscere il senso. È questo, in fondo, il compito di ogni filosofia che voglia sfondare i confini dell’accademia e ritrovare, a sua volta, un rapporto con il mondo.
LIBRI: PIETRO MONTANI, L’IMMAGINAZIONE INTERMEDIALE, LATERZA, PP. 82, EURO 14,00
0 comments