Caso Cucchi, rinviati a giudizio in 12 tra medici e agenti di custodia

ROMA La famiglia del giovane morto dopo essere stato pestato in cella: «È un primo passo nell’accertamento della verità , ma non basta»

ROMA La famiglia del giovane morto dopo essere stato pestato in cella: «È un primo passo nell’accertamento della verità , ma non basta»

Sarà un processo a stabilire la verità sulla morte di Stefano Cucchi, A deciderlo è stato ieri il gup del Tribunale di Roma Rosalba Liso rinviando a giudizio 12 persone ritenute responsabili di quanto accaduto al giovane geometra romano morto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Sandro Pertini sei giorni dopo essere stato arrestato con l’accusa di spaccio. A processo finiscono sei medici del Pertini (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Bruno Flaminia, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite e Rosita Caponetti), tre infermieri (Giuseppe Fluato, Elvira Martelli, e Domenico Pepe) tre agenti di custodia (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). Sono accusati a vario titolo di lesioni e abuso di autorità, favoreggiamento, abbandono di incapace, abuso d’ufficio e falsità ideologica. Nel corso dell’udienza è stato condannato a due anni di reclusione Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, che aveva chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato.
Il rinvio a giudizio è stato accolto con soddisfazione dalla famiglia Cucchi, che lo ritiene «un primo tassello per arrivare alla verità» come ha spiegato il padre di Stefano, Giovanni. «E’ stato un momento di grande tensione – ha invece commentato la sorella di Stefano, Ilaria -. Il gup la pensa come noi: Stefano non è morto per una malattia ma per le botte. Mi auguro che i pm abbiano il coraggio di portare avanti la verità e abbiano l’umiltà di tornare sui loro passi».
Un altro, decisivo passo in avanti nell’accertamento delle responsabilità si spera adesso possa arrivare dal dibattimento, la cui prima udienza è fissata per il 24 marzo, e che potrebbe consentire di stabilire una volta per tutte il peso che le percosse ricevute da Stefano mentre era rinchiuso nei sotterranei del tribunale di Roma hanno avuto sulla sua morte.
Il punto dello scontro infatti è proprio questo. La procura è infatti convinta che a provocare la morte del giovane sia stata soprattutto la negligenza del personale del Pertini che, pur avendo ben presenti le condizioni di Stefano, «volontariamente ometteva di intervenire». Secondo la ricostruzione fatta dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, mentre si trovava nelle celle di sicurezza del tribunale in attesa di essere giudicato per spaccio, Stefano venne picchiato da tre agenti di custodia, che gli provocarono ferite alle mani, alle gambe e alla colonna vertebrale. I pm sono anche convinti che il 17 ottobre, giorno del ricovero, Marchiani, nelle sue funzioni di responsabile del Prap, e la dottoressa Caponetti avrebbero volontariamente nascosto le lesioni riportate da Cucchi nel pestaggio, indicando per di più nella cartella clinica – prosegue l’accusa – che «Cucchi appariva in condizioni generali buone, con stato di nutrizione discreto, decubito indifferente, apparato muscolare ‘tonico trofico’».
Una ricostruzione che solleva di fatto gli agenti di custodia in servizio nei sotterranei del tribunale da ogni responsabilità diretta nella morte di Stefano. E proprio per questo contestata dall’avvocato Fabio Anselmo, che assiste la famiglia Cucchi. «Quello che noi sosteniamo da tempo è che Stefano Cucchi non è morto di malattia come ha sottolineato Arbarello», ha detto il legale facendo riferimento alla perizia eseguita dal professor Arbarello. «Secondo noi le lesioni sono una concausa dell’evento morte. Il giorno dell’arresto Stefano era andato in palestra. Di certo non stava male». Anche per questo la famiglia ha annunciato di voler chiedere una nuova perizia sul cadavere di Stefano.

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