Acqua. Un occasione per far saltare la malapolitica

Ai referendum di primavera sull’acqua e sul nucleare servirà  una straordinaria mobilitazione politica, sempre che si voglia vincere e non solo fare una bella figura di ambientalisti generosi e perdenti. Un primo punto riguarda il numero dei votanti. Alle ultime elezioni politiche nel 2008 avevano diritto di voto oltre 47 milioni di persone. Sono passati tre anni, servono dunque 25 milioni di voti per puntare in sicurezza al 50% più uno dei cittadini con diritto di voto che la Costituzione prevede per abrogare una legge.

Ai referendum di primavera sull’acqua e sul nucleare servirà  una straordinaria mobilitazione politica, sempre che si voglia vincere e non solo fare una bella figura di ambientalisti generosi e perdenti. Un primo punto riguarda il numero dei votanti. Alle ultime elezioni politiche nel 2008 avevano diritto di voto oltre 47 milioni di persone. Sono passati tre anni, servono dunque 25 milioni di voti per puntare in sicurezza al 50% più uno dei cittadini con diritto di voto che la Costituzione prevede per abrogare una legge.
25 milioni tra sì e no, per esempio andrebbero benissimo 13 milioni di sì e 12 milioni tra no e schede votate e bianche. Infatti, oltre che raggiungere e superare il quorum, sommando i sì e i no, occorre anche battere il partito dei no. Non è detto che il partito dei privatizzatori dell’acqua decida di accettare la sfida e non scelga piuttosto la via di rinunciare a far valere le proprie ragioni, puntando tutto sul mancato raggiungimento del quorum. Probabilmente tra di loro la discussione è in corso e una parte preferirebbe arroccarsi sulla linea craxiana astensionista del «tutti al mare», risultata perdente nel 1991 e vincente in molti referendum successivi. Se invece essi accetteranno il confronto per l’acqua, ne risulterà una straordinaria prova di democrazia in un paese che molti giudicavano incapace di discutere e di scegliere. Un simile effetto avrebbe anche lo scontro sul nucleare: si potrebbe verificare se davvero la popolazione italiana ha cambiato idea, si è convinta di aver sbagliato nel 1987 – dopo Cernobil – e ora è rinsavita, come dicono al governo; oppure intenda rinnovare, con una scelta di democrazia, il rifiuto alle centrali e alle scorie, i connessi costosissimi rischi di lunga durata e l’esigenza di un controllo militarizzato sul territorio, intorno a centrali elettriche, divenute improvvisamente, inutilmente, obiettivi sensibili.
Le firme raccolte contro la privatizzazione dell’acqua sono state 1,4 milioni. Muovendo da questa base potente bisogna moltiplicare ogni firma per venti o poco meno. Ogni persona che ha firmato per la richiesta di referendum, dovrà ora lanciarsi nella politica e convincere altre 17 persone ad andare a votare. E convincerne 9 almeno a votare tre volte sì, per i due referendum superstiti dell’acqua e per il nucleare, proposto dall’Idv di Antonio Di Pietro. Il problema è gigantesco, ma la riconquista di massa della politica, attraverso un dibattito pubblico sui problemi reali, sulla salute, sul risparmio di natura, può davvero cambiare in meglio il paese, rimetterlo in corsa. Sono in causa i beni comuni. L’acqua, il territorio sicuro e aperto nel caso del nucleare. Chi vuole prendersi la gestione dell’acqua e quindi mettere in vendita il suo valore d’uso, chi vuole per sé il territorio per farne una fornace atomica, controllata dalle guardie armate ha deciso di racchiudere quel particolare bene comune in un recinto inaccessibile e di escluderne tutti gli aventi diritto, con la forza di una legge estorta con l’inganno. La spoliazione dei diritti, dei beni comuni, è uno degli aspetti dell’impoverimento generale della popolazione, a favore di pochi, sempre più ricchi, sempre più protervi, sempre più disposti a ingannare le masse, a derubarle con la scusa della modernità. I referendum sono dunque una grande occasione per rimettere qualcosa a posto, ricostruire un futuro di cui non vergognarsi.

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