La «Federal Communication Commission» statunitense ha stabilito che chi paga di più avrà connessioni più veloci. Una decisione che coinvolgerà chi accede al web via etere e con i telefoni cellulari, cioè le modalità sempre più usate tanto nel Nord che nel Sud del pianeta per navigare su Internet
La «Federal Communication Commission» statunitense ha stabilito che chi paga di più avrà connessioni più veloci. Una decisione che coinvolgerà chi accede al web via etere e con i telefoni cellulari, cioè le modalità sempre più usate tanto nel Nord che nel Sud del pianeta per navigare su Internet
Dopo il clamore e le aspre reazioni suscitate dalla proposta Google-Verizon sulla regolamentazione di Internet, i più ottimisti avevano sperato che le speranze delle grandi corporation sarebbero andate deluse. Invece è accaduto che la «Federal Communications Commission» americana (Fcc) ha abbracciato proprio quella proposta, delineando un doppio standard per l’Internet del futuro. (Ne ha scritto Giulia D’Agnolo Vallan il 23 Dicembre, n.d.r.)
Nel documento approvato dalla Fcc, il principio della neutralità della rete è salvaguardato per le connessioni fisse, ma compromesso per quelle mobili.
Il principio della neutralità della rete è di facile comprensione: tutto quello che viaggia in rete, dalla posta ai video in streaming, è composto da pacchetti di dati. Questi dati, per soddisfare il principio della neutralità della rete, devono viaggiare attraverso i server alla stessa velocità e alle stesse condizioni. Da tale semplicità ne deriva che in presenza di qualsiasi alterazione o gerarchizzazione del traffico determina la morte della neutralità della rete. Neutralità che, è bene ricordare, nei fatti ancora non esiste, posto che molti provider si fanno beffe del principio (che non è codificato e non ha forza di legge) e discriminano senza troppi rimorsi. Già oggi capita che per accedere ad alcuni siti attraverso uno smartphone si paghi, anche se l’accesso da rete fissa agli stessi siti è libero. In questo caso il provider della rete mobile fa pagare la connessione e anche un pedaggio verso siti che pure mettono online i loro contenuti gratuitamente.
Una confusione programmata
I lavori della Fcc intorno alla regolamentazione della rete assumono una grande importanza, proprio perché da più parti si chiede di mettere fine a questa anarchia: lo chiede chi pensa che privilegi gli attori più forti e lo chiedono sul fronte opposto i fornitori di servizi, che vogliono un quadro di riferimento certo che riconosca il diritto delle telecom ad organizzare e far pagare il traffico.
Le decisioni della Fcc potrebbero sembrare un problema esclusivamente statunitense, se non che gli Stati Uniti sono ancora oggi il principale motore dello sviluppo di Internet ed è negli Usa che risiedono i maggiori attori del Web contemporaneo. Quello che si decide a Washington è dunque inevitabilmente destinato a influenzare il futuro della Rete.
A complicare la faccenda ci sono però alcuni difetti mai sanati dalle amministrazioni americane, primo fra tutti il difetto di giurisdizione dell’Fcc, che sta scrivendo leggi per le quali non ha ricevuto alcun mandato dal Congresso e che non ha poteri per farle rispettare. Il «Telecom Act» del 1996, al quale la Commissione fa riferimento come fonte del suo potere, in realtà non prevede niente del genere. Una confusione che non sembra del tutto casuale.
Sia come sia, la proposta Google-Verizon ha fatto breccia e la discriminazione tra reti mobili e fisse è passata con un voto di tre a due grazie al commissario democratico Michael J. Copps, che l’ha sostenuta appellandosi alla cultura del compromesso. Un’ipocrisia plateale, perché l’accesso alla rete è ormai universalmente riconosciuto come un diritto e in tema di diritti non possono esistere compromessi e non possono esistere diritti solo parzialmente riconosciuti e protetti. A chiudere il cerchio c’è il clamoroso silenzio del presidente Barack Obama, che in campagna elettorale si era vestito da paladino della neutralità della rete e oggi tace di fronte al pateracchio. Pateracchio complicato dal linguaggio del testo uscito da questo strano compromesso, perché affermare che le compagnie potranno porre in essere discriminazioni del traffico (anche a pagamento) quando queste non siano «irragionevoli» lascia la porta aperta alla discrezionalità e alle interpretazioni, con le compagnie in posizione di forza perché potranno fare quel che vogliono fino a che qualcuno, citandole in tribunale, non dimostrerà che il loro comportamento è «irragionevole».
Il testo approvato pone quindi più problemi di quanti sia chiamato a risolvere, ma soprattutto proietta una minaccia sull’Internet del futuro, che viaggerà sempre di più attraverso le reti mobili. Alcuni siti diventeranno più accessibili di altri la discriminazione a pagamento privilegerà inevitabilmente gli attori più forti, chiudendo le porte alle start-up e all’innovazione da una parte e rischiando la censura dei contenuti sgraditi dall’altra.
Con queste regole non sarà più possibile l’emersione di nuove Google o YouTube, perchè a Google e a Youtube sarà sufficiente pagare per stroncare sul nascere le speranze di iniziative concorrenti, fossero pure migliori, relegandole così nel limbo della Rete a bassa velocità. Allo stesso modo alcuni servizi metteranno all’asta tali privilegi e potrà accadere che cambiando il fornitore del servizio si acceda velocemente al motore di ricerca della Microsoft Bing e lentamento a Google, o viceversa.
Leggi discriminanti
Esiste e persiste poi il pericolo di una discriminazione politica accanto a quella commerciale, ancora più rilevante tenendo conto che già oggi le minoranze e i meno abbienti accedono a Internet per lo più attraverso terminali mobili. Anche negli Stati Uniti questa differenza è rilevante: l’Internet mobile costituisce, ad esempio, il canale d’accesso preferito dai latini e dai neri. Così è nel resto del mondo, dove il digital divide è eroso dall’avanzare dei telefonini che nei paesi in via di sviluppo permettono l’accesso all’home banking e altri servizi fondamentali in zone non raggiunte dai cavi e utilizzando terminali meno costosi e più semplici dei tradizionali personal computer.
Un mercato enorme, che le regole previste dalla Fcc consegnano alla volontà degli attori più forti, che di regola coincide con la volontà di fare profitti senza andare troppo per il sottile. Un successo dei lobbisti che illumina ancora una volta gli stretti rapporti tra la politica americana e le corporation, che su questo esito hanno investito moltissimo e che possono offrire alla politica qualcosa di più dei finanziamenti, che pure spargono con generosità bipartisan.
Cosa possano offrire lo dimostra il recente caso di Wikileaks, oggetto di una vera e propria aggressione da parte di alcune major di Internet, che hanno tagliato in massa i ponti con il sito dietro le pressioni del governo americano. Un atto grave che con le regole proposte dalla Fcc diventerà legittimo, nonostante nessuna corte americana abbia stabilito che le attività di Wikileaks sono illegali. Per comprenderne l’enormità di questa aggressione e la minaccia che pone al diritto d’espressione, basta cambiare il soggetto di questa discriminazione e immaginare il sito del «New York Times» bandito dalla rete se e quando pubblicasse notizie sgradite al governo. Solo l’abitudine al doppio standard introdotto dall’amministrazione Bush insieme alla War on Terror può nascondere la follia di un approccio del genere, nel quale le leggi non sono più un riferimento universale, ma diventano un corpo mutevole nella loro applicazione a seconda che siano rivolte ad amici o nemici. L’abolizione dell’habeas corpus e dei diritti umani nel caso dei «combattenti nemici» ha fatto scuola e incrinato la legalità democratica, non solo negli Stati Uniti, aprendo la porta ad ogni genere di discriminazione. Ce n’è abbastanza da confermare i peggiori timori.
* è il nickname di un mediattivista che da anni si occupa di cultura dei media
*************************
INTERNET
Un futuro marchiato a fuoco dal denaro
BenOld
È difficile dare una definizione puntuale della Rete. Il punto di partenza è sicuramente l’insieme di macchine, cavi e dispositivi tecnologici senza i quali sarebbe impossibile parlare di Internet. Ma sarebbe una definizione «povera», perché accanto alle macchine ci sono gli standard di comunicazione e il software che consentono il trasferimento e la gestione dei dati. Ma anche questa sarebbe un’approssimazione, perché sono altresì importanti anche le leggi che pretendono di regolare la «vita dentro lo schermo», da quelle sulla proprietà intellettuale a quelle che stabiliscono i criteri della competizione economica e i diritti dei «naviganti». Come ha scritto in uno dei suoi primi libri il giurista Lawrence Lessig, il web è un prodotto sociale in cui il codice (i programmi, ma anche le leggi) non è separabile dalle macchine che lo veicolano.
È però merito dei ricercatori che hanno sviluppato lo scheletro della Rete aver introdotto una regola – la neutralità della Rete, appunto – che ne hanno fatto un dispositivo teso a garantire eguali possibilità di accesso. Come per ogni regola, la sua applicazione dipendeva dai rapporti di forza presenti tanto nella sue gestione che in quello che avveniva tra i i naviganti. Così Google ha le stesse possibilità di veicolare i suoi dati di chi, ad esempio, scrive un lungo documento di critica al disegno di legge di Mariastella Gelmini, divenuto, ahimè, legge dello Stato italiano alcuni giorni fa.
Il principio della neutralità della Rete è stato più volte criticato, tanto dai mediattivisti che dalle imprese. Non si è mai però trattato di convergenze parallele per il suo superamento. I mediattivisti, infatti, in particolare modo quelli statunitensi, ne criticavano la fragilità, perché dal principio non si era mai arrivati mai a una legge, l’unico strumento che poteva interrompere le continue violazioni da parte di chi vuole fare affari con la Rete (i fornitori di accesso); o da parte delle imprese che rivendicavano una loro primazia nel far «viaggiare» più velocemente, in forma di dati, la materia prima e le merci delle loro attività produttive.
Allo stesso tempo, però, anche altre imprese chiedevano il rispetto della neutralità della Rete, perché questo presupponeva che non poteva formarsi una stabile barriera d’ingresso al business sul Web (ne parla diffusamente l’articolo qui a fianco).
Tutto ciò però apparterrà al passato, se il progetto della «Federal Communications Commission» diventerà operativo. Se per una manciata di minuti si mettono tra parentesi l’irresponsabile silenzio di Barack Obama e il voltafaccia del presidente della Fcc Julius Genachowski di alcuni mesi fa, quando solennemente affermava che la neutralità non sarebbe mai messa in discussione, l’elemento più grave della decisione dell’Authority statunitense è che non guarda al passato, bensì al futuro della Rete. Chi si collega alla rete secondo i «metodi tradizionali» (computer, modem e cavi più o meno «potenti») molto probabilmente non si accorgerà di grandi differenze. Certo, ci saranno un po’ di ritardi e di attese davanti al video, ma saranno attese e ritardi quantificabile in centesimi di secondo.
Diverso è il caso dei collegamenti wi fi (cioè usando l’etere) e per i telefoni cellulari di ultima generazione che consentono di navigare in rete, scrivere brevi testi, scaricare e caricare video e file musicali. In questo caso la neutralità della Rete diventerà un pallido ricordo del passato, perché la definizione di un doppio standard rappresenta la codificazione di una diseguaglianza di classe nell’accesso alla Rete, visto che il criterio per viaggiare veloci sarà dato dal portafoglio. Dimensione crudele, quella del denaro, che è equivalente generale e al tempo stesso unità di misura della ricchezza. Ed è certo che le imprese, proprio perché movimentano molte più informazioni dei singoli, pretenderanno di andare più veloci, in nome della ricchezza che produrranno.
Ma ciò che è ulteriormente crudele è di definire criteri di classe per l’accesso a Internet quando ci si collega senza fili, la forma sempre più usata nel Sud del mondo, ma ormai anche nel Nord del mondo, come testimoniava nel 2008 il pionieristico lavoro di indagine sulla «connessione mobile» coordinato dai ricercatori Manuel Castells, Fernàndez-Ardèvol Mireia, Jack Linchuan Qiu e Araba Sey (Mobile communication e trasformazione sociale, Guerini e Associati).
La linea di tendenza che vede nel wi-fi l’accesso nella Rete svela che la stragrande maggioranza dei «naviganti» userà della modalità di connessione al web. Il fatto che la Fcc apra le porte alla differenziazione del diritto di accesso in base a criteri economici pone un problema di democrazia, ma anche espressione del tentativo di cancellare quella cooperazione sociale dentro e fuori la rete che è l’oggetto del desiderio, ma anche la bestia nera delle corporations high-tech. Oggetto del desiderio perché luogo di innovazione; bestia nera perché altera rispetto la logica capitalistica che le imprese vorrebbero imporre alla Rete.
Finora, sono state poche le reazioni alla decisione della Fcc. Qualche articolo on-line, qualche presa di posizione da parte di questo o quel blogger o studioso, ma niente di più. Eppure la posta in gioco è alta, anche se spostata in là nel tempo. Come spesso accade nella realtà, il futuro può essere cambiato se si trasforma profondamente l’esistente. E il presente parla il linguaggio asettico e di classe della Fcc. Per avere un futuro migliore occorre quindi far i conti con questo presente, dove nulla è innocente. Compreso Barack Obama che è stato eletto grazie anche alla Rete e come già fatto in questi due anni di presidenza preferisce prendere le distanza dalle componenti più militanti della coalizione che lo ha portato alla Casa Bianca.
BenOld77@gmail.com
0 comments