Un nuovo «correntone» per rimontare a sinistra

DEMOCRACK Cofferati ci pensa su, per gli ex dc sarebbe fatale

DEMOCRACK Cofferati ci pensa su, per gli ex dc sarebbe fatale

ROMA. In piazza se ne sta defilato. Ma di buon mattino, prima della manifestazione di San Giovanni, Sergio Cofferati ha fatto una serie di «chiacchierate» con i «compagni». Tema: c’è bisogno «di una sinistra nel Pd?». Chi ci ha parlato dice che c’è aria di un «nuovo correntone», quello di cui l’ex segretario Cgil era leader nei Ds (prima della sconfitta del congresso di Pesaro nel 2001). Intendiamoci: non una nuova corrente ma, secondo Vincenzo Vita, «potrebbe essere utile qualcosa, senza star lì a burocratizzare la proposta, che ci aiuti ad andare oltre il Pd. Che del resto, come ormai vedono tutti, è un progetto da aggiornare. Quando anni fa dicevo di federare la Sel di Vendola, sembrava che bestemmiassi. E invece oggi lo sostengono, e mica pochi». «Il bisogno di sinistra c’è», puntualizza Paolo Nerozzi, il problema non è Vendola quanto «fortificare il Pd come partito del lavoro, dei saperi, dei diritti. Del resto i segnali di Bersani in questo senso sono chiari». E infatti il «correntone», eventualmente, non si collocherebbe all’opposizioni di Bersani ma «come il Commonwealth, in difesa della Regina», scherza Francesco Simoni, altro storico dell’area della sinistra romana.
Fra l’altro, nel rimescolamento delle aree interne al partito, Cofferati non si è schierato. E se c’è una cosa in cui si è segnalato, apertamente e senza mezze parole, è la critica al «modello Marchionne», quello – diceva ancora ieri – «in cui le tutele collettive e i diritti delle persone, siccome sono dei costi, vengono messe in discussione». Che è quello che pensa tutta la segreteria di Bersani, in testa il responsabile economico Stefano Fassina, un altro che ha dato una bella sterzata a sinistra alle proposte del Pd sul tema del lavoro e del welfare.
Del «correntone» magari non se ne farà nulla, perché Sergio Cofferati comunque ormai è eurodeputato un po’ fuori dai giochi e, dopo il precipitoso abbandono del comune di Bologna, il suo prestigio è di molto sceso nel Pd. Ma il tema di rafforzare a sinistra il partito ormai è all’ordine del giorno. Soprattutto nella prospettiva di restare all’opposizione, se dopo il 14 il governo riuscirà a galleggiare. L’operazione «correntone» tornerebbe anche utile per bilanciare il protagonismo di Walter Veltroni. C’è poi da respingere l’assedio sempre più stretto di Nichi Vendola, che si giova di un Pd in cui i veti interni dei centristi rendono spesso impacciata l’azione politica. Insomma, secondo molti la morìa di voti, almeno quella recuperabile, è a sinistra.
Così diventa emblematico l’episodio con cui si è aperto il comizio di Bersani. Ovazione, applausi, entusiasmo quando il segretario, marciando sulle note dell’inno di Mameli, arriva sul palco. Ma quando, dopo l’ultimo «l’Italia chiamò», prova a parlare, da sotto il palco parte «bella ciao». Bersani sorride, saluta, ammicca, riprova a parlare. Niente. E lui «be’, iniziamo ché comincia a fare freddo». Ma quelli insistono: «o partigianooo». Quelli sono gli «arancioni», i Giovani democratici del siciliano Fausto Raciti, la giovanile del partito che il segretario esibisce come fiore all’occhiello (e a fine comizio ne sventola la bandiera). È la migliore fotografia della manifestazione di ieri a San Giovanni. Gira gira, il partito democratico i conti con «bella ciao» li deve fare. E con la sinistra, quella di Vendola che incalza da fuori ma anche quella che sta, bene o male, nella pancia del partito. E con quell’ostinato Enrico Berlinguer che spunta in campo rosso, fra le bandiere, nonostante il tassativo divieto di portare in piazza altri vessilli che non siano il tricolore democratico. «Care democratiche e cari democratici» attacca il segretario, ma non ha scelta, e deve aggiunge «cari compagni». E lì di nuovo ovazione, applausi, entusiasmo.
Da dietro il palco l’ex dc Beppe Fioroni, in sempiterno malumore verso il segretario accusato di nostalgie ex pci, stavolta incassa con stile: «Una piazza di sinistra? Ma no, una bella piazza serena e tranquilla. Oggi facciamo una proposta al Paese per dar vita a un governo di responsabilità nazionale». Fioroni oggi si ferma qui, l’ordine di scuderia è che almeno nel giorno del trionfo di piazza la guerriglia interna venga sospesa. Ma la tregua non durerà oltre il 14. E i centristi del partito democratico, al momento intruppati con il Modem di Veltroni e fin qui protagonisti della stagione delle possibili convergenze con Udc e finiani, dovranno rivedere il loro ruolo nel partito.
Ormai al governo di transizione, con tutti gli annessi rapporti con il centro e persino con Gianfranco Fini, non crede più nessuno. Certo, anche Bersani dal palco dice che nel caso di chiamata al Colle la proposta sarà «un governo serio di responsabilità istituzionale che garantisca una transizione ordinata, nuove regole elettorali, alcuni interventi essenziali e urgenti in campo economico e sociale». Ma il 14 è ormai derubricato a «una tappa, un primo passo del cammino del dopo Berlusconi».
Quindi, se il ciclo di Berlusconi non si chiuderà martedì, di certo si chiude il ciclo del Pd com’è stato fin qui: appeso alle scelte dei finiani e dell’Udc. Se fallisce la strategia del terzo polo – disarcionare il Cavaliere – il Pd può ricollocarsi al centro dell’opposizione parlamentare. E a sinistra, con giudizio, nella direzione del «nuovo partito laburista». Che resta il vero «sogno» di Bersani.

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