Cuba saluta il 2010 con «una rivoluzione nella Rivoluzione» ma i cubani si interrogano ansiosamente sui drastici cambiamenti annunciati e attesi nell’anno che viene. Tutti d’accordo che bisogna far uscire il paese dall’ «immobilismo» e dalla «inefficienza», però la paura dell’ignoto e del salto nel buio sono forti. «O si cambia o la Rivoluzione affonda» ha detto Raàºl Ma 500 mila lavoratori statali da riciclare sono tanti…
Cuba saluta il 2010 con «una rivoluzione nella Rivoluzione» ma i cubani si interrogano ansiosamente sui drastici cambiamenti annunciati e attesi nell’anno che viene. Tutti d’accordo che bisogna far uscire il paese dall’ «immobilismo» e dalla «inefficienza», però la paura dell’ignoto e del salto nel buio sono forti. «O si cambia o la Rivoluzione affonda» ha detto Raàºl Ma 500 mila lavoratori statali da riciclare sono tanti…
L’AVANA. Anno nuovo Cuba nuova, come si interroga qui a fianco Leonardo Padura Fuentes? E insieme a lui, milioni di cubani, dal primo dicembre chiamati a discutere le riforme economiche proposte dal governo lo scorso novembre nei 291 articoli del «Progetto di lineamenti della politica economica e sociale» (diffusi in 800.000 copie al prezzo di un peso, 4 centesimi di euro) e che saranno al centro del VI congresso del partito comunista, fissato per la seconda metà di aprile del nuovo anno.
Lo scopo della riforma è di propiziare la trasformazione dell’attuale modello socialista cubano – basato sulla quasi totale statalizzazione del settore economico e su una minima presenza del mercato – in un sistema misto, dove il settore privato e quello cooperativo assumeranno un peso via via crescente e in cui la decentralizzazione e la autogestione delle imprese avranno un ruolo centrale (pur all’interno di una politica di pianificazione statale); così come la fine delle politiche egualitariste ( e «paternaliste»), un regime fiscale nuovo (e pesante) e la riduzione delle spese sociali. Il tutto in tempi da mozzare il fiato: entro aprile 500 mila lavoratori «eccedenti» saranno espulsi dal settore statale; entro tre anni quasi la metà dei lavoratori cubani dovrebbero operare nel settore privato.
Si tratta di misure proposte per far uscire il paese dall’«immobilismo» e dalla provata «inefficienza» del sistema economico fin qui praticato, ma che avranno un forte impatto nella vita degli undici milioni di cittadini dell’isola. Nelle strade, nelle conversazioni in famiglia e tra amici domina il tema delle plantillas enfladas – gli organici sovraffollati – dato che centinaia di migliaia di cubani temono per il loro posto di lavoro e gli altri – milioni – si interrogano se la nuova Cuba sarà veramente un paese dove si potrà vivere meglio, dove verranno mantenute «le conquiste del socialismo» – scuola e sanità gratuite, solidarietà sociale assicurata dall’intervento dello stato – ma allo stesso tempo saranno assicurate migliori condizioni economiche di vita, sia mediante aumenti di salari, sia favorendo, e non solo permettendo, il lavoro privato, sia limitando o togliendo le troppe restrizioni che riguardano la vita dei cittadini (in primis, la libertà di recarsi all’estero, di vendere e comprare auto).
Molte perplessità e timori riguardano anche il nuovo regime fiscale previsto dai «lineamenti» (dal 25 al 50% sul reddito, 10% sulla vendita di servizi, 25% di contributi per il lavoro salariato nel settore privato, 25% di contributi dovuti alla nuova assicurazione sociale, mentre, per ora, è stata scartata l’Iva).
Per far fronte a questi interrogativi e dubbi, da settimane il Granma, organo del Pc, pubblica articoli di in cui si danno spiegazioni sui punti più ostici, data la novità, cioè su come si dovrà compilare la dichiarazione dei redditi, sui contributi da versare al lavoratore salariato, sull’assicurazione sociale e le pensioni ecc. Tutti temi affrontati nelle assemblee organizzate nei posti di lavoro, di studio, di quartiere per discutere dei «lineamenti» (con lo scopo di «raggiungere un consenso nazionale»). Il presidente Raúl aveva invitato i suoi concittadini a esprimersi in tali occasioni «sin cortaprisas» (senza restrizioni), in modo da contribuire a «migliorare» le proposte del governo. Fino ad oggi, secondo un’inchiesta ufficiosa attuata dall’agenzia Ips, vi è stata un’ampia gamma di temi discussi in tali dibattiti pubblici: da questioni concrete riguardanti le riforme, «al deterioramento dei servizi nei settori della salute e della scuola, alla scarsezza di prodotti alimentari e di prima necessità, fino all’eccesso di limitazioni e di proibizioni di ogni ordine che riguardano la vita delle persone». Salvo poi assicurare l’approvazione in massa dei «lineamenti» per alzata di mano.
Di fronte a questa situazione di timori e incertezze, Raúl Castro ha ritenuto di dover parlare chiaro e forte. Alla conclusione della riunione dell’Assemblea nazionale (parlamento) dieci giorni fa ha detto pari pari che «o si cambia o la Rivoluzione affonda»insieme a tutte le sue conquiste. Non solo, il presidente ha anche affermato che il prossimo congresso del Pc sarà l’ultimo guidato dalla generazione che ha fatto la rivoluzione vittoriosa del 1959, e dunque ha fatto capire che dovranno essere espressi – oltre a un nuovo modello economico – volti nuovi per gestire la nuova fase. Fidel già a novembre aveva annunciato che non si sarebbe candidato ad essere rieletto primo segretario del partito e aveva espresso il suo pieno appoggio alla linea del fratello minore. Seppur non pubblicamente, molti cubani da noi consultati hanno espresso chiaramente i loro dubbi sul fatto che una nuova politica economica sociale possa essere attuata senza che i responsabili della situazione attuale facciano un’autocritica e promuovano volti nuovi. Pur senza far riferimento a questa situazione (peraltro nota al vertice politico e fonte di preoccupazione), il presidente ha ammonito i quadri «a cambiare mentalità per affrontare il nuovo quadro che inizia a delinearsi», avvertendo che «il partito deve dirigere e controllare e non interferire nelle attività del governo» e che è necessario «mettere sul tavolo tutte le informazioni»che riguardano le decisioni da prendere, mettendo fine al «exceso de secretismo» degli ultimi 50 anni.
Alle parole è seguito qualche fatto concreto. In primis è stata tolta la multa del 10% applicata, dall’inizio del 2000, in epoca di confronto duro con l’allora presidente americano Bush, al cambio del dollaro in pesos convertibles (cuc, la seconda moneta assieme al peso, ma quella necessaria per comprare la maggior parte dei beni di consumo). Da una settimana i cubano-americani possono inviare direttamente in cuc le loro rimesse ai parenti dell’isola, i quali si ritrovano così con un decimo di soldi in più. Non è una misura di poco conto: non si sa esattamente l’ammontare di tali rimesse, ma si ipotizza che vadano dagli 800 milioni al miliardo di dollari l’anno. Ovvero più del guadagno assicurato dal turismo (prima fonte del bilancio). Inoltre, all’arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega è stato – per la prima volta – concesso di celebrare la messa della vigilia di Natale nel più grande carcere dell’isola, il Combinado del Este nella periferia dell’Avana, proprio mentre la chiesa cubana si augura che «come concordato, vengano messi prontamente in libertà gli ultimi 11 prigionieri di coscienza» del gruppo dei 75 condannati nel 2003 che restano in carcere, e che «vengano attuate riforme».
In questo quadro, venerdì scorso il Granma ha scritto che Cuba saluta il 2010 con una «revolución dentro de la Revolución». Facendo riferimento alle riforme «strategiche» che entreranno in vigore nel 2011, il quotidiano scrive che «non stiamo parlando dell’anno che viene», che non sarà «per nulla facile», ma «del Paese che viene», che sarà «differente». Auguri.
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