La testimonianza di un sopravvissuto: “Stavamo a Firenze e fu lui a farsi avanti per aiutarci”
La testimonianza di un sopravvissuto: “Stavamo a Firenze e fu lui a farsi avanti per aiutarci”
È il 10 agosto 1944. Firenze sta per essere liberata dagli Alleati. I nazisti lasciano la linea dei Lungarni per attestarsi lungo i viali della Circonvallazione. Fanno saltare il ponte del Romito e il Ponte Rosso che resta tuttavia in piedi. All´alba del giorno dopo il Cln ordina l´attacco. Sono le 6 e 10. Alle 6 e 45 i sette rintocchi della “Martinella” di Palazzo Vecchio danno a tutta la città il segnale dell´insurrezione. Un quarto d´ora dopo il nuovo governo cittadino è già in funzione. La battaglia è feroce: la ritirata dei tedeschi è strategica, per compattare forze e fuoco. Gli alleati, intanto, si attestano a sud-est, dalle parti del quartiere di Gavinana, sulla sponda sinistra dell´Arno. In uno stabile di via Bandino, nascoste dentro uno scantinato, quattro persone vivono momenti di terrore. Temono l´irruzione da un momento all´altro dei repubblichini. O dei nazisti. Sono infatti ebrei. La famiglia Goldeberg. Profughi fiumani. All´improvviso, da fuori, arrivano grida entusiaste: «Stanno arrivando gli inglesi! Stanno arrivando gli inglesi!».
Giorgio Goldenberg, che ha dodici anni, piglia coraggio. Decide di uscir fuori. Vuole scoprire che sta succedendo. Rassicura i genitori, accarezza la sorellina. Poi, quatto quatto, sguscia in strada. Per andare a sbattere contro una colonna di militari britannici. Il destino certe volte è davvero misterioso. Perché si trattava di soldati della Brigata Ebraica: «Vidi uno di loro con la scritta Palestina e con la Stella di Davide cucita sulle spalle, mi avvicinai e mi misi a canticchiare la Hatikwa (l´inno del futuro stato di Israele, ndr.). Lui mi sentì e si rivolse a me in inglese. In quel momento capii che eravamo liberi», racconta oggi Giorgio Goldenberg al telefono da Kfar Saba, in Israele, dove si trova, «se sono vivo e ho 78 anni lo devo a Gino Bartali».
Il campione di ciclismo? «Sì, proprio lui ci nascose in cantina», conferma Goldenberg. La voce è ferma, sicura. Può confermare quanto ha detto con una testimonianza scritta, gli chiede allora il suo interlocutore, il venticinquenne Adam Smulevich, fiorentino di ascendenza fiumana, redattore del mensile Pagine Ebraiche, la pubblicazione mensile dell´Ucei (Unione Comunità ebraiche italiane): «Certo, è davvero il minimo che possa fare per una persona che mi ha salvato la vita». Non solo la sua. Bartali contribuì a salvare almeno 800 perseguitati, tra il 1943 e il 1944, tra cui molti bambini ed anziani. Se Goldenberg aveva trascorso la sua drammatica adolescenza in fuga disperata dal nazifascismo, Bartali andava in fuga anche quando si allenava sui pendii dell´Appennino. Sfruttando la libertà di movimento che godeva per mantenersi in forma (nel 1941 aveva conquistato la Coppa Piero Marin davanti a Fausto Coppi, allo sprint, e la Coppa dell´Angelo; nel 1942 gli attribuirono un fittizio Giro d´Italia), Bartali nascondeva nella canna della bici documenti falsi da consegnare alle famiglie rifugiate in conventi e monasteri per aiutarle a scappare dall´Italia.
Il rischio era enorme, ma Gino non tollerava quel che stava succedendo. Si era messo in contatto con l´organizzazione – efficiente ed assai articolata – messa in piedi dall´ebreo pisano Giorgio Nissim, ma in cui lavoravano sacerdoti e suore cattoliche. Tutto documentato. Basta leggere la storia di questa formidabile rete consultando il decimo numero (anno IV) della rivista Ecclesia, stampata a Città del Vaticano e uscita nell´ottobre del 1945. I pedali del “pio” Bartali furono davvero miracolosi. Ma l´attività del campione non si limitò a far da staffetta. Gino sfidò le Ss, offrendo ai quattro Goldenberg rifugio in uno scantinato che possedeva in comproprietà col cugino Armandino Sizzi, un locale che si affacciava su un piccolo cortile interno, in via Bandino. Bartali si era sposato da poco, nell´ottobre del 1941 era diventato padre di Andrea, i capoccioni fascisti del quartiere lo convocavano spesso perché sospettavano di lui ma non avevano abbastanza prove per incastrarlo, e lo sottoponevano a sorveglianza. Nonostante ciò, Bartali accolse i quattro profughi di Fiume negli ultimi mesi dell´occupazione nazista di Firenze, i mesi più terribili e cruenti. I Goldenberg erano miracolosamente scampati alle retate dei fascisti a Fiume ed erano riusciti a trovare riparo in quel di Fiesole. Giorgio è iscritto alla scuola elementare ebraica, fa la spola da Fiesole e a Firenze mentre i suoi genitori diventano amici di Bartali e di Sizzi: «Non ricordo quale fu la genesi di questo rapporto, ma ricordo quando Bartali fece capolino nel salottino di casa nostra».
A Firenze, la situazione precipita, le vite degli ebrei sono appese ad un filo: «Bartali ci propose di nasconderci in un a cantina che aveva in zona Gavinana. Era molto piccola. Dormivamo in quattro in un letto matrimoniale, io, mia sorella Tea e i nostri genitori. Non so dove loro trovassero il cibo. Ricordo solo che il babbo non usciva mai, mentre mia madre andava con due secchi a prendere acqua da qualche pozzo». Andrea Bartali, (presidente della Fondazione Gino Bartali), è rimasto commosso dall´episodio che ignorava: «È una notizia bellissima che dimostra ancora una volta il grande cuore di mio padre e che spero ci aiuti a piantare l´albero nel Bosco dei Giusti, allo Yad Vashem», uno dei luoghi della Memoria più sacri per il popolo ebraico. E per l´umanità intera.
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