Sul nuovo numero di “Alfabeta” il filosofo analizza Berlusconi e l’anomalia del nostro paese. “Da voi si realizza la scissione del processo politico in sé, fatto di decisioni prese, dallo spettacolo mediatico: si guarda il secondo e si dimentica il primo”
Sul nuovo numero di “Alfabeta” il filosofo analizza Berlusconi e l’anomalia del nostro paese. “Da voi si realizza la scissione del processo politico in sé, fatto di decisioni prese, dallo spettacolo mediatico: si guarda il secondo e si dimentica il primo”
Pubblichiamo parte di un´intervista di a Slavoj Zizek che compare integralmente sul nuovo numero di “Alfabeta2” da oggi in edicola
i può analizzare un fenomeno mediatico, politico, culturale qual è da quasi un ventennio Silvio Berlusconi, senza lasciarsi condizionare dal fastidio che l´«oggetto» in questione sovente provoca in chi lo analizza? (…) Egli incarna un potere «grottesco»: esilarante, minaccioso, imprevedibile, efficace. C´ha colpiti il modo col quale, qualche tempo fa, sulla London Review of Books Slavoj Zizek riportava quel potere all´ironica immagine di un Panda, protagonista di un cartoon di successo. Ed è la ragione per cui abbiamo voluto incontrare questo intellettuale che con grande libertà ha messo assieme Lacan e il cinema, indagato Freud e Marx e preferito il moderno al «post».
Zizek non si considera un esperto di Berlusconi e soprattutto – tiene a precisare – pensa che per molti versi il problema non sia lui, ma che lo stesso Berlusconi sia l´effetto di un processo più generale che non coinvolge solamente l´Italia. Il discorso, dunque, non può che cominciare dall´intreccio tra due figure cardine della modernità: politica ed economia.
Lei sostiene che sia stata recisa ogni connessione fra democrazia e capitalismo. Com´è accaduto? E cosa sostituisce oggi quel legame?
«Sì, nella mia interpretazione questo accade soprattutto in Cina, anche se non solo laggiù. Qualche tempo fa il mio amico Peter Sloterdijk mi confessò che dovendo immaginare in onore di chi si costruiranno statue fra un secolo, la sua risposta sarebbe Lee Kwan Yew, per oltre trent´anni primo ministro di Singapore. È stato lui a inventare quella pratica di grande successo che poeticamente potremmo chiamare “capitalismo asiatico”: un modello economico ancora più dinamico e produttivo del nostro ma che può fare a meno della democrazia, e anzi funziona meglio senza democrazia. Deng Xiaoping visitò Singapore quando Lee stava introducendo le sue riforme, e si convinse che quel modello andava applicato alla Cina».
La Cina, insomma, è il sorprendente laboratorio nel quale si progetta il nostro futuro?
«Diciamo che ci sono alcuni elementi che vanno in quella direzione. Se un nuovo modello si afferma e condiziona mondi culturalmente lontani, non si può non valutarne la forza di penetrazione. Del resto vedo aspetti di questo processo anche negli Usa (…). Non è dunque questione di individui pazzi o autoritari: no, c´è qualcosa nel capitalismo contemporaneo che spinge in questa direzione».
(…) La famosa “globalizzazione” ha dilatato problemi che tradizionalmente trovavano una soluzione nell´ambito degli Stati-Nazione. Oggi non è più così. Con quali effetti per la democrazia?
«Credo che i meccanismi democratici non siano più sufficienti ad affrontare il tipo di conflitti che si prospettano all´orizzonte (…). Sembrano richiedere un “governo di esperti” molto decisionista, che si esprima su quel che occorre fare, e lo metta rapidamente in atto senza tanti salamelecchi. (…) Ed è un fenomeno davvero nuovo, un´epoca nuova, direi. Ma il punto, si badi bene, non è criticare la democrazia in sé; bisogna comprendere come la democrazia si stia autodistruggendo, ed è importante sottolinearne l´aspetto strutturale: non si tratta delle decisioni di singoli pessimi leader, della loro brama di potere o simili: è il sistema stesso che non può più riprodursi in modo autenticamente democratico».
Il che ci porta all´oggetto del nostro incontro. A quale genere di democrazia ha dato dunque vita Berlusconi?
«Mi sento di ribadire che forse voi italiani vi concentrate troppo su Berlusconi come causa dei mali che vi affliggono. In realtà bisogna vederlo come effetto. (…) Certo, fin dall´inizio il suo progetto ha presentato elementi originali: Berlusconi ha davvero inventato qualcosa. Quel che ha introdotto è, formalmente, ancora una democrazia ma che, come tutti sappiamo – questo punto è stato trattato fino alla noia – funziona in modo diverso: è, voglio dire, una democrazia ipermediatizzata, soggetta allo spettacolo pubblico. Ma c´è un secondo aspetto, per me molto importante, su cui vale la pena richiamare l´attenzione: la scissione del processo politico in sé – il processo di governare un paese, il decision making – dallo spettacolo mediatico, dalla dimensione dello scandalo pubblico, con tutte le sue conseguenze».
Lei allude agli scandali sessuali che hanno pesato sulla figura del premier?
«Sì. Ma occorre capire perché quando c´è uno scandalo sessuale, tutti si occupano di quello, ma in maniera completamente dissociata da ciò che veramente accade. Berlusconi – non dovremmo dimenticarlo – non è solo un clown: ci sono cose che accadono davvero, decisioni politiche gravi che vengono realmente prese. Questo gap caratterizza la politica oggi».
Questa “dissociazione” impedirebbe di cogliere l´effettiva strategia del potere berlusconiano?
«È come se mi concentrassi sull´albero, perdendo di vista la foresta. Un potere è sempre un risultato complesso. Si pensi a un altro aspetto originale di Berlusconi. È riuscito a marginalizzare la sinistra, e a stabilire una nuova polarità politica fra quello che potremmo definire un orientamento liberale neutro e tecnocratico e una reazione populista (…)».
Lei sostiene che il modello Berlusconi è un oggetto molto più complicato di ciò che appare e che, in qualche modo, impone un linguaggio anche a chi è antiberlusconiano?
«Non si può prescindere dallo spazio simbolico che egli ha costruito e che condiziona qualunque azione che cerchi di ridurne l´efficacia. Ciò che suggerisco è di non farsi comunque ipnotizzare dallo spettacolo in corso, dall´aspetto clownesco, dall´evidente corruzione: cerchiamo di rivolgerci le domande essenziali. Certo, è un fatto forse unico nei tempi moderni che un premier, attraverso i suoi avvocati, dica di esser pronto a dimostrare in tribunale di non essere impotente. Ma è molto più importante l´altra faccia di Berlusconi. (…) Per esempio – mi chiedo – quanti italiani sanno di vivere da tempo formalmente in uno stato di emergenza, proclamato per poter schierare l´esercito in aree civili? (…) È una sorta di autoritarismo permissivo, che ha per formula “più divertimento e più misure straordinarie”: potrebbe essere il nostro futuro».
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