Vite spericolate nella zona di combattimento

Che Roma stia subendo una preoccupante involuzione, nel suo tono culturale come nella sua tenuta sociale, è purtroppo cronaca di tutti i giorni, oltreché materia di inchieste e analisi. Cosa sia successo in quest’ultimo scorcio, di tanto inquietante quanto improvviso, cosa si sia spezzato in quel processo virtuoso di emancipazione iniziato con gli anni Novanta e bruscamente interrotto con l’avvento di Alemanno in Campidoglio, resta una domanda che chiede ancora una risposta. O meglio, alcune risposte sono anche arrivate: di chi da tempo andava recriminando sull’esaurimento di un modello in via di appassimento.

Che Roma stia subendo una preoccupante involuzione, nel suo tono culturale come nella sua tenuta sociale, è purtroppo cronaca di tutti i giorni, oltreché materia di inchieste e analisi. Cosa sia successo in quest’ultimo scorcio, di tanto inquietante quanto improvviso, cosa si sia spezzato in quel processo virtuoso di emancipazione iniziato con gli anni Novanta e bruscamente interrotto con l’avvento di Alemanno in Campidoglio, resta una domanda che chiede ancora una risposta. O meglio, alcune risposte sono anche arrivate: di chi da tempo andava recriminando sull’esaurimento di un modello in via di appassimento. Tuttavia, quell’interrogativo doloroso non esaurisce il suo impatto con la sola lettura politica. Resta ancora lì. Non riusciamo a rimuoverlo e anzi ci rimanda l’incapacità di capire una città che è cambiata sotto il nostro sguardo, evidentemente miope o, peggio, volutamente distratto. 
Può aiutare in questo sforzo di comprensione ricorrere ad altri codici interpretativi, ad altri linguaggi. Ed è il tentativo di Massimiliano Smeriglio con il suo Garbatella combat zone, avventurosa narrazione delle gesta di Valerio Natali, classe 1974, prototipo di quella parabola antropologica, culturale e politica che ha accompagnato le derive sociali di questo nostro sbrindellato spazio/tempo. Né modello positivo né eroe negativo, Valerio vive solo l’oggi, in tutta la sua contraddittorietà. Dei suoi primi movimenti consapevoli, girando tra centri sociali e lotte studentesche, si porta dietro il nome di battaglia, Chiapas: tappa di un impegno appassionato spezzato dalla crudezza del reale, ma pur sempre approdo idealizzato dove finalmente ritrovarsi. Dalla Garbatella al Messico, da Piazza Brin allo Zocalo di San Cristobal. 
L’amato quartiere è l’altro protagonista del libro: attraversato lungo le tante storie dei singoli che finiscono per tessere un racconto collettivo, vero e proprio monumento identitario di un pezzo di città che cerca di difendersi da omologazioni e Cesaroni. E Valerio è un po’ come la Garbatella, disperatamente ancorata alla sua storia di quartiere ribelle ma anche risucchiata dal desolante egoismo del tutti-contro-tutti. Cercherà così di trovare un suo percorso (vanamente «a linea retta») che non smarrisca radici e sentimenti, ma che si misuri con la precarietà dell’oggi e raccolga la sfida violenta della sopravvivenza. 
Ovviamente, in un crescendo di disordine interiore, non ci riuscirà. E nella sua sconfitta forse si rispecchia quella di una città che cerca una nuova se stessa ma che ancora non sfugge alla sua deriva.

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