Un 25 luglio. E dopo?

Con Giuliano Ferrara, più di qualche anno fa, alla radio, cominciammo, concordi, a dare alle possibili crisi del cavaliere, la sigla 25 luglio. Entrambi (Ferrara era stato un giovane comunista) concordavamo nel considerare ducesca la sua ascesa politica e, quindi, la sua crisi doveva avere la sigla del 25 luglio.

Con Giuliano Ferrara, più di qualche anno fa, alla radio, cominciammo, concordi, a dare alle possibili crisi del cavaliere, la sigla 25 luglio. Entrambi (Ferrara era stato un giovane comunista) concordavamo nel considerare ducesca la sua ascesa politica e, quindi, la sua crisi doveva avere la sigla del 25 luglio. Ieri Il Foglio Quotidiano ha pubblicato ben due pagine sotto il grande titolo: «È arrivato il 25 luglio del Cav.?» e sotto questo titolo ci sono un sacco di interventi, acuto come sempre quello di Rino Formica, ma anche gli altri stanno sull’osso. Ma va bene il riferimento al 25 luglio? In una certa misura sì. In primo luogo la carriera e i comportamenti di Berlusconi sono duceschi, anche se Mussolini, nonostante la Petacci, la sera tornava a dormire a Villa Torlonia dove lo aspettava Donna Rachele. 
In secondo luogo, e questo ci spinge ad autocritiche e sensi di colpa, Berlusconi non viene abbattuto dalla pur straordinaria manifestazione della Fiom a piazza San Giovanni, ma dalla sfiducia del suo Gran Consiglio: se Berlusconi cadrà sarà ad opera dei suoi grandi gerarchi, Grandi, Ciano e compagnia bella. Berlusconi non ha la Germania nazista alle sue spalle (la signora Merkel è in imbarazzo) ma la Russia di Putin e, con molte riserve arabe, la Libia di Gheddafi; personaggio sul quale gli scandali di Silvio cercano, falsamente, ascendenza.
Il punto grave di differenza rispetto a quel lontano 25 luglio è che le forze di Hitler si avviavano alla sconfitta, gli Alleati erano sbarcati in Sicilia, dopo che Montgomery aveva stravolto in Africa settentrionale le forze armate italo-tedesche.
Il punto di differenza è che Mussolini fu scaricato dal suo Gran Consiglio, che ormai era conscio della sconfitta e della svolta del re (Mussolini uscito da Villa Savoia fu arrestato). Il grande punto di differenza sta nel fatto che dopo il 25 luglio venne il 25 aprile (stava maturando) mentre oggi è difficile prevedere un prossimo 25 aprile.
Il rischio è quello di avere un 25 luglio senza un 25 aprile, e qui vale ricordare quel 25 aprile del 1994, promosso da il manifesto che indusse Bossi a scaricare Berlusconi senza tante chiacchiere. 
E aggiungo, (con i tempi che corrono sono piuttosto pessimista) che cosa può portare un 25 luglio di Berlusconi senza un 25 aprile? In tempi non di guerra, un 25 luglio di Mussolini avrebbe provocato scontri e turbative assai più gravi della Repubblica di Salò. Ma quel 25 luglio fu provocato dalla sconfitta militare dell’asse Roma-Berlino, da Stalingrado, e in Italia poi venne la Resistenza. Se vogliamo – come vogliamo – il 25 luglio di Berlusconi, lavoriamo a costruire il 25 aprile, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e – mi si consenta – anche nella stampa, che non può alimentarsi solo di Ruby.
Avviamo, a cominciare da noi de il manifesto, la campagna elettorale con l’obiettivo (chiediamo consenso) che si voti il 25 aprile del 2011, festa della Liberazione. Un 25 luglio non ci basta, ed è anche pericoloso.

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