Al festival di «Cinema e donne» una commedia dark ci riporta all'epoca sovietica, quando non era facile essere una donna di potere, ma il mestiere di giornalista era molto meno pericoloso di oggi. La regista Elina Suni ci parla del suo film, storia d'amore con giovani libertari e vecchi pazzi

Nella sede del Laboratorio Immagine donna che organizza il festival di «Cinema e donne» di Firenze da 32 edizioni delle cineaste georgiane sono rimaste per anni le pizze di latta dei film, lasciate lì per sicurezza in un periodo di sconvolgimento politico; le lituane e le estoni ci aprirono gli occhi su una società  con l'emergenza dell'infanzia abbandonata per strada e negli orfanotrofi e l'alcolismo degli uomini; le registe russe furono le prime cineaste sovietiche a uscire dal paese e mostrare una cinematografia supercontrollata. ">

Tovarish Veronika non torna più

Al festival di «Cinema e donne» una commedia dark ci riporta all’epoca sovietica, quando non era facile essere una donna di potere, ma il mestiere di giornalista era molto meno pericoloso di oggi. La regista Elina Suni ci parla del suo film, storia d’amore con giovani libertari e vecchi pazzi

Nella sede del Laboratorio Immagine donna che organizza il festival di «Cinema e donne» di Firenze da 32 edizioni delle cineaste georgiane sono rimaste per anni le pizze di latta dei film, lasciate lì per sicurezza in un periodo di sconvolgimento politico; le lituane e le estoni ci aprirono gli occhi su una società  con l’emergenza dell’infanzia abbandonata per strada e negli orfanotrofi e l’alcolismo degli uomini; le registe russe furono le prime cineaste sovietiche a uscire dal paese e mostrare una cinematografia supercontrollata.

Al festival di «Cinema e donne» una commedia dark ci riporta all’epoca sovietica, quando non era facile essere una donna di potere, ma il mestiere di giornalista era molto meno pericoloso di oggi. La regista Elina Suni ci parla del suo film, storia d’amore con giovani libertari e vecchi pazzi

Nella sede del Laboratorio Immagine donna che organizza il festival di «Cinema e donne» di Firenze da 32 edizioni delle cineaste georgiane sono rimaste per anni le pizze di latta dei film, lasciate lì per sicurezza in un periodo di sconvolgimento politico; le lituane e le estoni ci aprirono gli occhi su una società  con l’emergenza dell’infanzia abbandonata per strada e negli orfanotrofi e l’alcolismo degli uomini; le registe russe furono le prime cineaste sovietiche a uscire dal paese e mostrare una cinematografia supercontrollata. Erano parecchi anni che il festival di Firenze non ospitava più registe russe e in questa edizione è in programma Veronica non tornerà (Veronika ne pridet, 2008) di Elina Suni. Già direttore principale di ben 9 giornali e con due figli, quando pensava che la sua vita fosse perfettamente inquadrata, improvvisamente cambia vita, decide di diventare regista, si mette a studiare e realizza i suoi primi film. La chiave di volta di questa svolta fu, dice, la lettura del libro di memorie di Galina Vishnevskaya, moglie del maestro Rostropovich che visse a lungo con lui a New York.
Poiché il dramma della stampa russa contemporanea (un’altra vittima è stata fatta proprio in questi giorni, il giovane reporter Kashin ora ridotto in coma per le sue indagini sulla corruzione) è un attacco al cuore della democrazia, è interessante che la sua commedia sia ambientata in buona parte proprio in una redazione. «Il nostro non è un giornalismo libero, dice. Io subivo pressioni tutti i giorni e così anche le mie colleghe. Ho preferito lasciare questa professione per il cinema. Penso che il giornalismo contemporaneo non può essere senza politica, ma giornalisti liberi ce ne sono pochi. Per fare giornalismo libero bisogna pagare troppo e a volte questo prezzo è la vita. Se fossi rimasta in questo settore avrei avuto problemi perché non faccio compromessi». 
La Veronica protagonista del suo film è una potente direttrice di giornale tanto irresistibile da aver raggiunto il vertice della professione: siamo negli anni del comunismo, alla fine degli anni sessanta. Il film potrebbe essere erede di quelle commedie moscovite un po’ fracassone, con personaggi sopra le righe che si facevano un tempo. Anche un po’ di quello stile Elina Suni si serve per raccontare cosa sono poi diventati alcuni personaggi nella loro vecchiaia, quasi specchio di una nomenklatura disastrata («vecchi pazzi» in cerca di felicità). Il cinema russo contemporaneo d’autore è surreale, allusivo, poetico, sfiora anche il grottesco, quando è fatto nella capitale diventa supertecnologico e globalizzato, ma si tiene alla larga dal raccontare il passato, come invece fanno ancora diffusamente i cineasti di Polonia, Ungheria e Romania, soprattutto. Qui abbiamo una visione agghiacciante dei tempi passati e presenti, pur con il tono scanzonato e anarchico. La bella e ambiziosa Veronica, è diventata una vecchia violenta e alcolizzata che irrompe continuamente nella vita del figlio come ha sempre fatto, per quanto «eroina del lavoro socialista» e che infine decide di vivere nell’ospizio dove si trovano riuniti vari personaggi, colleghi dei vecchi tempi e si scoprirà che nel suo passato un dramma d’amore ha cambiato il corso della sua vita.
«Non ho fatto un film politico dice, ma alla fine viene percepito così. Ci sono riferimenti diretti all’epoca passata, ma non è un’autobiografia. Dipende dalla mia conoscenza dell’epoca, l’ho studiata, ho letto libri, ho ascoltato le storie raccontate dai nonni. Negli altri paesi si dice: signore, signora, signorina. Da noi il termine ‘tovarish’ non ha genere, si usa sia per il maschile che per il femminile. Era molto difficile che le donne che facevano carriera rimanessero femminili. Non mi piace nessuna ideologia, nessun regime, la donna deve essere donna in ogni caso al di là delle ideologie. Tutto ciò che fanno le donne, preparare la colazione, uccidere, girare un film, tutto è fatto con amore. Nell’Urss l’amore invece era un crimine, il sesso era tabù, ma d’altra parte le donne non potevano vivere senza. Mi interessava raccontare come in Urss una donna forte avesse potuto sopravvivere in quegli anni». 
Afferma la sua visione anarchica della vita e, ci tiene a dirlo, la sua origine è finnica e svedese, educata da una famiglia di aristocratici, una nonna attrice famosa e autorevole: «Invece di amare in Urss la gente pensava ad ascoltare, a scoprire posizioni compromettenti. Intorno c’erano solo nemici, tutti avevano paura, tutti spiavano tutti: questo ho capito fino dalla mia infanzia. Nel caffè poteva sempre esserci del veleno» 
Ma in che direzione si sta dirigendo oggi la società? «Non si sa in che direzione va la società russa, c’è una filosofia molto filoamericana, molto negativa. Serve l’influenza della cultura, degli scrittori, dei cineasti perché da sola l’oligarchia non si evolverà, così come i produttori spesso non capiscono le sceneggiature che leggono. Ci sono voluti venti anni per capire dove andiamo: uno dei miei figli è nato quando c’era l’Urss, l’altro che ha 14 anni è nato nella repubblica ed è un uomo completamente diverso perché anch’io ero più libera e gli ho trasmesso questa libertà».

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