Quell’unità  a lungo attesa

FEDERAZIONE «Il Pd si decida, noi siamo pronti». Fds lancia un segnale a Bersani e un appello al candidato Nichi. Salvi: noi però non andremo al governo. E Diliberto: «Per vincere le elezioni serve un patto di legislatura». Oggi la sua nomina a portavoce di turno
CONGRESSO Sì di Prc e Pdci all’«alleanza democratica» di Bersani. Liste con Vendola «dove si può»

FEDERAZIONE «Il Pd si decida, noi siamo pronti». Fds lancia un segnale a Bersani e un appello al candidato Nichi. Salvi: noi però non andremo al governo. E Diliberto: «Per vincere le elezioni serve un patto di legislatura». Oggi la sua nomina a portavoce di turno
CONGRESSO Sì di Prc e Pdci all’«alleanza democratica» di Bersani. Liste con Vendola «dove si può»

ROMA. Per qualcuno sono passati quasi 2 anni di troppo, per altri 12. Il primo congresso della Federazione della sinistra che termina oggi a Roma può essere letto in tanti modi. Da un lato sancisce sicuramente la fine della scissione tra Prc e Pdci del 1998, dall’altro partorisce una federazione macchinosa e un po’ burocratica che ha già affrontato due prove elettorali non esaltanti (3,4% alle europee 2009 e 2,8% in media alle amministrative 2010).
E tuttavia «cambiare si deve», tuona il portavoce Cesare Salvi nella sua relazione. La parola chiave del congresso dell’Ergife è unità. Che qui si declina su tre piani: unità per l’alternativa al capitalismo (le 4 forze che danno vita alla federazione); unità della sinistra (centralità del lavoro e liste comuni con Sel dove si può alle prossime amministrative); unità per battere la destra. Questa Costituzione, come dice Bersani, «è la più bella del mondo»?, si chiede Salvi retoricamente. E allora serve «un’alleanza democratica che la difenda» e che «spazzi via Berlusconi scongiurando il rischio che punti al Quirinale». «È il Partito democratico che deve prendere l’iniziativa. Decida quali alleanze e quale programma. Apriamo un confronto. Noi siamo pronti», dice Salvi. Che dal palco giudica «un grave errore» il governo tecnico e però non esclude a priori nemmeno l’alleanza con l’Udc alle politiche.
La notizia, forse, è che se Sel guarda al tutto con un gelido silenzio, la migliore accoglienza alle proposte della Fed la riserva il Pd. «Le differenze ci sono – commenta Maurizio Migliavacca, sherpa di Bersani all’Ergife – tuttavia credo che ci possa essere un orizzonte comune, vale a dire una difesa dei valori della Costituzione e del rinnovamento della democrazia italiana in senso europeo».
In un’atmosfera quasi irenica per un congresso della sinistra, il dibattito nei saloni dell’Ergife va avanti senza troppe polemiche, ordinato, costruttivo. Complice la scelta dall’alto predeterminata dei delegati. E non guasta il clima di speranza – o il timore di inciampare subito – la solenne intervista di Oliviero Diliberto all’Unità di ieri con cui il segretario del Pdci rafforza l’offerta al Pd di un solido «patto di legislatura» che se non è una richiesta di ministeri suona assai più di un semplice «diritto di tribuna» nella legislatura che possibilmente consegnerà Berlusconi alla storia.
Si (ri)parte da Giovanni Impastato, dalla musica sarcastica e amara di Andrea Rivera, dall’ancoraggio marxista di Gianni Ferrara, da Fiom e Cgil ma anche dai sindacati di base Usb e inquilini. Ma il dibattito sopra e sotto il palco è quello di sempre: il governo, che fare con i menscevichi, l’ala riformista e moderata del centrosinistra. Ramon Mantovani, del Prc, esclude categoricamente che stavolta ci si ricaschi: «Dobbiamo essere onesti con la gente, stavolta andiamo in parlamento per discutere le regole democratiche e basta, con il Pd non è possibile governare». In effetti i leader della Federazione (Salvi, Ferrero, Diliberto e Patta) hanno tutti alle spalle un’esperienza in qualche dicastero in vari governi di centrosinistra. Già dato.
L’alleanza democratica allude alla vecchia desistenza del ’96. Che stavolta il Pd farà in modo (semmai l’accetterà davvero) di rendere innocua concedendo alla camera un gruppo di deputati col divieto di presentarsi in senato, dove i numeri sono decisivi.
Il simbolo che sarà votato oggi è sempre più simile a quello del Pci. Piccolo quanto si vuole ma tignoso. Anche con Vendola. Salvi dal palco è esplicito: «Al congresso di Firenze ha detto che tra noi è finito il tempo dei risentimenti? Bene, passiamo alla politica. Non andare insieme alle amministrative è una follia».
Ma stavolta in gioco c’è qualcosa di più. Lo dice Alberto Burgio (Prc) senza giri di parole: «Rischiamo l’estinzione, con il 2% rischiamo di scomparire». Per questo Burgio raccoglie l’invito all’unità soprattutto nella versione data da Valentino Parlato sul manifesto: un incontro tra Sel e Fed che fissi intanto un’agenda comune. Poi si vedrà.
Ma insieme dove e come? «A Milano sì – insiste a margine Ferrero – e poi dove si può, a Torino, Napoli e Cagliari possiamo individuare un candidato comune». Vuol dire via la falce e martello? Forse. Ferrero non lo dice ma non è da escludere un semplice «Sinistra per Milano». Il segretario di Rifondazione, come gli altri tre compagni fondatori, parlerà oggi alle 12. Ieri pomeriggio ha lasciato il congresso di corsa per andare alla manifestazione de l’Aquila e tornare in serata: «Perché è questa la nostra vera politica». 34 È la percentuale della Federazione della sinistra alle Europee 2009, all’esordio del simbolo.
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