Quella città  uscita dalla tomba che ci incanta da tre secoli

Nella sale della Domus si conservavano trofei e armi

Nel Settecento il Voyage d’Italie aveva come tappa obbligata gli scavi archeologici sotto il VesuvioLa Casa dei Casti amanti, non lontana dalla Schola, invasa di recente da un fiume di fango

Nel 1767 Franà§ois de Paul Lapatie, letterato e botanico, membro dell’Accademia di Bordeaux, intraprende col figlio di Montesquieu il classico Voyage d’Italie e scrive delle epistole. L’interlocutore di Lapatie è Trudaine, il fondatore della celebre Scuola di Ponti e Strade.

Nella sale della Domus si conservavano trofei e armi

Nel Settecento il Voyage d’Italie aveva come tappa obbligata gli scavi archeologici sotto il VesuvioLa Casa dei Casti amanti, non lontana dalla Schola, invasa di recente da un fiume di fango

Nel 1767 Franà§ois de Paul Lapatie, letterato e botanico, membro dell’Accademia di Bordeaux, intraprende col figlio di Montesquieu il classico Voyage d’Italie e scrive delle epistole. L’interlocutore di Lapatie è Trudaine, il fondatore della celebre Scuola di Ponti e Strade.
LE descrizionI degli scavi di Pompei di Lapatie non hanno sostanza antiquaria ed erudita, sono felicemente succinte, e sono quelle di un uomo intelligente con un occhio penetrante. Iniziano così: «Lo spettacolo più singolare e più interessante che mi abbia colpito durante i miei viaggi, nel campo delle antichità, è quello di una città romana che esce dalla tomba quasi con la stessa freschezza e bellezza che aveva sotto i Cesari. Il vulcano stesso, la cui vicinanza le fu così funesta e dal quale venne sepolta, ne è stato il conservatore».
È assai bella l´immagine di una città che “esce dalla tomba”, una tomba nella quale sembra volersi richiudere ancora una volta Pompei. Per chi arriva dalla “grande strada di Salerno” l´accesso avviene attraverso “il grande portico circondato da camere”, uno dei primi edifici scavati fin dal 1766. È la “Schola armaturarum” che all´alba di ieri è scomparsa. 
Nei “Quartieri dei soldati” le armi rinvenute vengono trasportate nel Museo di Portici che il buon re Carlo di Borbone aveva allestito con prontezza. E dico buono non solo perché così veniva chiamato dai napoletani, ma perché fu un grande sovrano prima a Napoli e poi a Madrid. Il figlio di Elisabetta Farnese, dotato di una vivida intelligenza e di una buona cultura, ebbe alto sentimento della rilevanza delle scoperte di Ercolano e Pompei: emanando leggi che non solo tutelavano il sito, ma che sono all´origine della tutela del patrimonio-storico artistico della nazione.
Il citatissimo e vilipeso Articolo 3 della Costituzione repubblicana ha queste origini e conviene non dimenticarlo in un frangente così triste per il nostro patrimonio storico-artistico: please non beni culturali, dizione infelice che ha rimosso una dizione pertinente e propria. Carlo aveva per sposa Maria Amalia di Sassonia, che aveva avuto nel palazzo reale di Dresda, come bibliotecario di suo padre Augusto II re di Polonia, nientemeno che Joackim Winckelmann. L´archeologo sassone sudò sette camicie per aver accesso agli scavi di Pompei, tale era il sentimento di tutela che animò le leggi carline. Ma fu testimone dello scavo del quartiere dei gladiatori e nelle sue corrispondenze, sempre acide nei confronti dei protoarcheologi napoletani, fu equanime e ne apprezzò il lavoro. Dalle origini dello scavo la scuola sbriciolata era un soggetto di rilevanza al pari del Quartiere dei Teatri. È assai utile ricordare che quando Abate di Saint-Non pubblicò nel 1786 il celebre Voyage Pittoresque non sono poche le tavole che illustrano la “Schola”. Jean-Louis Desprez e Adrien Pâris, che erano stati reclutati insieme ad altri giovani artisti “pensionnaires” all´Accademia di Francia per realizzare le illustrazioni dell´opera, ci offrono delle tavole incise splendide: sia di carattere paesistico che propriamente topografico.
A loro dobbiamo essere grati, ma ancora dobbiamo esserlo a quei “pensionnaires” che nel corso dell´Ottocento realizzarono i famosi “envois” all´Académie des Beau-Arts: in prevalenza architetti, realizzarono rilievi impeccabili dei maggiori monumenti di Pompei, in taluni casi conditi da un gusto della ricostruzione che oggi diremmo hollywoodiana. 
Dunque la “Schola armaturarum” s´è sbriciolata, inzuppata di pioggia come una delle gallette che i gladiatori mangiavano, inzuppate nel vino, prima del cimento nell´arena. Si vedono pezzi di muro, frammenti di mattoni rossi, un ammasso di pietre e resti del solaio in cemento armato. La domus sorgeva in via dell´Abbondanza, un´arteria essenziale dell´antica Pompei che confina con un terrapieno che chissà per quanto tempo ha assorbito acqua. Il terrapieno è franato sull´antico edificio sbriciolandolo.
Per altro una domus così detta “Casa dei Casti amanti”, e non lontana dalla “Schola”, è stata di recente invasa da un fiume di fango provocato dalle piogge. Uno spettacolo replicato in forme territorialmente gigantesche in altre aree del paese, dal Veneto alla Calabria, dal Piemonte alla Liguria. Perché qui a Pompei non si vede che in minuscola misura lo stato deprecabile di abbandono del nostro territorio. Solo che qui siamo in un´area archeologica che è uno dei luoghi più visitati del paese. E dire che l´antica Pompei si avvaleva di un sistema di drenaggio della acque da far invidia per i tempi che viviamo. Un vero acquedotto fu costruito in età augustea. Si sottolinea la rilevanza di quest´opera di straordinaria ingegneria idraulica, perché ancora oggi la città antica non è provvista di un sistema efficiente per lo smaltimento delle acque che possa scongiurare tali disastri. Prima la città attingeva acqua piovana e ogni edificio pubblico o privato aveva i suoi pozzi di raccolta e capienti cisterne. 
Il carattere militare di questa aula è testimoniato dagli armadi lignei che originariamente erano deposito delle armi dei gladiatori. L´armeria era chiusa al pubblico, ma i dilavati affreschi esterni offrivano al viandante inequivocabili segni della destinazione d´uso alle attività gladiatorie. Inoltre trofei in ricordo di Augusto erano scolpiti e ben visibili nei due pilastri della porta d´ingresso alla “Schola”: l´iconografia era molto sofisticata ma anch´essa inequivocabile in tal senso. Come in un logo dei nostri tempi erano scolpite armi accatastate ai piedi di un tronco e, in basso, una tunica ricamata con tritoni e grifi alati. Sopra, un elmo con ai lati alcune lance. In alto, un tunica rossa. Sull´altro pilastro, invece, un carro ricoperto da una pelliccia di orso bianco, era circondato da scudi e lance. In quest´edificio furono rinvenuti resti carbonizzati di stuoie (tegetes) che facevano da tappeto agli allenamenti dei giovani pompeiani e dei gladiatori. All´interno le pareti erano affrescate come in tanti celebri ambienti pubblici e privati di Pompei. 
Ora sarebbe difficile dire cosa accadrà, visto che “la cultura non si mangia” come dice un potente ministro della Repubblica.

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