Quel «vento del sud» è leghismo sudista

Che i calabresi, ed in particolare i reggini, continuino ad occuparsi dei «fatti di Reggio» è un fatto scontato perché è un pezzo di storia con cui ancora occorre fare i conti. Dal punto di vista sociale, economico e storico. La Calabria e la Reggio di oggi ancora, in qualche modo, sono condizionati da quei «fatti». Basti pensare all’ultima campagna elettorale regionale: Scopelliti, Presidente della Giunta, era per i reggini il balsamo che sanava quella ferita storica. E che ciò lo pensassero i figli dei protagonisti di una rivolta che era stata di popolo sta pure nell’ordine delle cose. Anche in questa strana fase politica calabrese.

Che i calabresi, ed in particolare i reggini, continuino ad occuparsi dei «fatti di Reggio» è un fatto scontato perché è un pezzo di storia con cui ancora occorre fare i conti. Dal punto di vista sociale, economico e storico. La Calabria e la Reggio di oggi ancora, in qualche modo, sono condizionati da quei «fatti». Basti pensare all’ultima campagna elettorale regionale: Scopelliti, Presidente della Giunta, era per i reggini il balsamo che sanava quella ferita storica. E che ciò lo pensassero i figli dei protagonisti di una rivolta che era stata di popolo sta pure nell’ordine delle cose. Anche in questa strana fase politica calabrese. L’espressione «Boia chi molla», al di là della genesi, in Calabria richiama alla memoria esclusivamente la rivolta di Reggio, cioè un clima da guerra civile che provocò 5 morti solo a Reggio, l’assalto respinto alle sedi della Cgil e del Pci, un capopopolo, Ciccio Franco, poi senatore della Repubblica, cingolati della polizia, lacrimogeni, giorni di scuola persi per chi come me andava alle elementari. Certo, fa ricordare anche una presenza popolare come mai si era vista, le donne in prima linea vestite di nero dal lutto che allora si portava per decenni, un sottoproletariato convinto che il riscatto di Reggio passasse attraverso il capoluogo. E fa tornare in mente anche l’accordo di pezzi del sistema di potere di allora sugli assetti sociali, istituzionali ed economici da offrire alle tre province calabresi.
Di sicuro è una discussione ancora tutta aperta. Da affrontare con serietà e rigore. Ma oggi la si riapre nel modo peggiore. La riapre un direttore di giornale, Sansonetti, che solo qualche settimana addietro prima aveva plaudito alla nomina poi revocata, da parte del sindaco di Reggio Calabria, di Irene Pivetti ad assessore e, poi, aveva paragonato due consiglieri regionali eletti per la quinta volta consecutiva in consiglio regionale, Adamo e Bova, ai martiri delle purghe staliniane. Da Sansonetti ci saremmo, invece, aspettati una critica spietata al sistema di potere calabrese e alle sue classi dirigenti che hanno utilizzato le istituzioni per consolidare il proprio consenso e il proprio smisurato potere, per limitare la libertà delle persone, per condizionare e sospendere la democrazia in Calabria. «C’era il vento del Nord, ci sarà il vento del Sud», si affanna a titolare Sansonetti. Non so se è consapevole o meno, ma in Calabria prima che lui arrivasse l’idea di un partito sudista era già nata, e non per rappresentare il disagio di questa martoriata regione, ma per tentare di conservare quel sistema di potere attraverso una «logica da occupazione militare».
Proprio quella logica che il direttore rinfaccia oggi alla manifestazione dei sindacati del 22 ottobre del 1972 e che lui definisce «sbagliata, sbagliatissima», forse perché mise fine non per via militare, ma attraverso la partecipazione democratica di lavoratori e studenti di tutto il Paese alla rivolta di Reggio. E così nel definire «insensato» lo slogan di quella manifestazione, «Nord e Sud uniti nella lotta», arriva a teorizzare che «l’insopportabile squilibrio di potere si può superare solo con la rivolta e la ricostruzione di una classe dirigente del Sud». E questo forse è vero, ma Sansonetti si affida per questa ricostruzione al pezzo più consolidato del sistema di potere calabrese sia sul versante politico, sia su quello imprenditoriale e persino su quello religioso, come è evidente dall’adesione dell’arcivescovo di origine reggina, monsignor Nunnari. Ma come ha fatto in così poco tempo, Sansonetti, ad avere una conoscenza così profonda delle classi dirigenti della Calabria? In che modo ha costruito relazioni e rapporti?
La Calabria è la regione dove opera la più potente associazione criminale e mafiosa del mondo. E credo che per combatterla serve poco un atteggiamento forcaiolo ma di sicuro un grande progetto concreto di sviluppo economico ed occupazionale. Ma la linea editoriale di CalabriaOra ha un altro obiettivo, tanto da fare dire al deputato del Pdl Giovanni Dima: «Egregio Direttore… lei sarà accusato del delitto di lesa maestà». Ma quale lesa maestà? CalabriaOra ha sancito in questi giorni una «rottura» di linea con un altro quotidiano calabrese, Il Quotidiano, il cui direttore Matteo Cosenza è stato protagonista assieme al sindacato calabrese della manifestazione contro la mafia e per il lavoro del 25 settembre scorso a Reggio Calabria con la partecipazione di 40 mila calabresi. 
Ma di quale vento del Sud parla Sansonetti, se non comprende che il bisogno vero dei calabresi è quello di sentirsi partecipi di un sentimento nazionale che è l’unica via che può portare al cambiamento della Calabria? La proposta della Cgil nazionale di costruire a Reggio Calabria una manifestazione nazionale può dare continuità alla battaglia dei calabresi onesti e può avere gli stessi effetti della manifestazione del 22 ottobre del 1972: aiutare il processo di consolidamento e rafforzamento della democrazia. Questo ha senso. È questo il vento che i calabresi vorrebbero spirasse forte sulla Calabria.
Segretario generale

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password