Pd-Pdl, la sfida alla fiducia finale

Ricatti incrociati, la maggioranza vuole un voto sul governo al Senato, dove avrebbe i numeri. Democratici e Idv presentano la sfiducia alla Camera. Udc e finiani preparano la loro. Berlusconi imbufalito mette spalle al muro il carrozzone sfasciato dei suoi: o io o il voto

Ricatti incrociati, la maggioranza vuole un voto sul governo al Senato, dove avrebbe i numeri. Democratici e Idv presentano la sfiducia alla Camera. Udc e finiani preparano la loro. Berlusconi imbufalito mette spalle al muro il carrozzone sfasciato dei suoi: o io o il voto E improvvisamente il Pd scatta. In poco più di un giorno il balletto parlamentare accelera: dopo il fallimento dell’incontro fra Bossi e Fini, lo sfogo di Berlusconi da Seul «dimettermi? Piuttosto faccio la guerra civile», la certezza delle dimissioni dei finiani al governo, lunedì.
Così il sempre cauto partito democratico passa in un baleno dal generico «abbiamo cominciato a raccogliere le firme» (Bersani) dei due giorni precedenti al deposito-lampo della mozione di sfiducia al governo, ieri mattina. Il Pd dice di voler le firme di tutta l’opposizione, e invece improvvisamente si accontenta di quelle dell’Idv. Ma il capogruppo Dario Franceschini sente al telefono Pier Ferdinando Casini, ottiene un sostanziale sì. A questo punto procede senza perdere un minuto. Perché dal senato Fabrizio Cicchitto, con un ordine pensato a Roma ma confermato da Seul (dov’era Berlusconi fino a ieri sera) comunica l’imminente deposito di una mozione, di fiducia ovviamente. Parte il gioco d’azzardo, chi arriva prima al voto ha la carta vincente. O per lo meno si gioca la partita con un bonus di vantaggio. Fini, da presidente della camera, convoca la riunione dei capigruppo alle 9 di martedì. E batte Renato Schifani, al senato, che la chiama per quattro ore dopo. 
Se la maggioranza, contando su Schifani e sul calendario d’aula libero (a Palazzo Madama la finanziaria arriverà solo fra due settimane), riesce a votare la sua mozione in settimana, Berlusconi ottiene tre risultati: dimostrare al capo dello Stato che non c’è un’altra maggioranza, almeno non al senato, e ipotecare le eventuali consultazioni su un nuovo esecutivo; quindi procedere dritti al voto, d’accordo con la Lega; costringere i malpancisti Pdl a votare la fiducia, o a scoprire le carte: ma in una situazione di totale incertezza. 
Nel mirino del premier, che (giustamente) ormai vede traditori ovunque, c’è Beppe Pisanu e il suo gruppetto di 10/15 senatori. Bersani e D’Alema puntano su lui per capitanare un governo di transizione. Ma lui, Pisanu, due giorni fa, in un incontro organizzato dai neo-Udc Enzo Carra e Renzo Lusetti, presenti Pier Ferdinando Casini e Marco Follini, ha lasciato intendere che crede alla possibilità di rigenerazione interna della maggioranza. O meglio: che non farà cadere Berlusconi, ma nel caso accadesse non si tirerebbe indietro. E i boatos danno prossimo a mollare il Cavaliere, se dovesse puntare subito al voto, anche Claudio Scajola e il suo gruppetto. Motivo: l’incertezza della ricandatura: motivazione che potrebbe dilagare nel Pdl come un fuoco in un pagliaio. Tutti papabili terzopolisti.
Un improvviso voto di fiducia però può far saltare il progetto ancora fumoso. E infatti D’Alema s’infuria: la fiducia è «un gesto di scarsa responsabilità o di furbizia. E la furbizia eccessiva spesso conduce sulla strada sbagliata». Comunque, aggiunge Rosy Bindi «basta la sfiducia in una delle due Camere. E noi chiederemo che si voti anche a Montecitorio, anche se il voto al Senato precedesse quello della Camera». 
Siamo sul filo delle prassi. Alla Camera la riunione dei capigruppo con ogni probabilità non può calendarizzare la mozione prima di lunedì 22 (per fargli spazio, il Pd rinuncerebbe ad un altro provvedimento). Prima è difficile, fino a giovedì c’è la finanziaria. 
Ma la sfiducia di Pd e Idv ha chance di passare? I finiani meditano di presentare un testo loro. Lorenzo Cesa, segretario figurativo dell’Udc, annuncia che il suo partito si muoverà «di concerto con il Fli e con l’Api», lasciando capire che ormai il terzo polo è nato di fatto. Bersani non dev’essere così sicuro del buon esito se sfida Fini: «Voglio credere che si eserciti la coerenza di tutti quelli che pensano che questa fase è finita». Stavolta assomiglia a quello che dice Di Pietro: «Vogliamo vedere chi fino ad ora ha predicato bene e magari razzola male, è ora di stanare tutti coloro che dicono che questo governo ha umiliato il Paese e però ad oggi non avevano il coraggio di metterlo in sfiducia». L’ex pm lo dice da mesi, ma fin qui il Pd non l’ha seguito sostenendo che la sfuducia avrebbe solo ricompattato la maggioranza. Oggi l’Idv è disponibile a votare la mozione di Fli, e anche il Pd non mancherà.
Il bandolo della matassa ce l’ha di nuovo Fini. Che stavolta però gioca davvero la sua partita finale: votare contro il Cavaliere e uscire dal Pdl, con il rischio vero di affrontare senza un partito organizzato un’elezione, intruppato nel terzo polo ma con la potenza mediatica del premier contro; oppure astenersi sulla sfiducia, prolungare ancora l’agonia del governo; e perdere la faccia.

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